La Sardegna oltre l’estate

Una mia riflessione che ha trovato spazio sul blog S’Indipendente, blog aperiodico dell’Assemblea Nazionale Sarda, la voce del mondo dell’autodeterminazione sardo.

È da qualche tempo che la Sardegna, consolidata meta di turismo estivo, si sta rivelando capace di attirare vasti flussi di visitatori anche nelle altre stagioni. I motivi sono tanti, e vanno dalla ri-scoperta del patrimonio archeologico, che grazie ai social e al web in generale sta conoscendo una nuova, fortunata epoca, alla riacquisita consapevolezza, complice la pandemia, dell’importanza di godere di ampi spazi naturali e sociali.

Nell’epoca delle new age e delle mille discipline ispirate alla rigenerazione dell’animo, la Sardegna, con i tanti siti storici in cui è possibile recepire intense frequenze positive, è anche al centro di spedizioni in gran stile, con guru spirituale annesso.

Ciò che invece lascia perplessi, in palese contrasto, è quello che appare come un vero e proprio bisogno fisico, che non accenna a diminuire: andarsene dall’isola; scappare non appena possibile. Vale per gli studenti che vogliano costruirsi una carriera, per chi voglia tentare la carta della fortuna all’estero, o anche solo nella penisola italica, per chi non riesce quasi a concepire il fatto di individuare, nella Sardegna, non solo il luogo di nascita, o il luogo “del cuore”, che fa rima con la finta autenticità degli antichi “borghi” tanto in voga, ma il luogo di permanenza principale, della vita vera, quella di tutti i giorni. Quella che prevede un lavoro, una casa, e una routine a misura di comune individuo. Un esodo che anche l’apertura dei suddetti nuovi fronti non è sufficiente a osteggiare. 

Ed è così che assistiamo a una fuga apparentemente ineluttabile, dove tutti – ma proprio tutti – ambiscono a vedere, il più presto possibile, i contorni verdi blu del mare che lambiscono la costa da un oblò aereo. Non ci sarebbe niente di male, se poi queste persone avessero come progetto ultimo quello di ritornare. E invece, assistiamo da tempo a ritorni strategici di intellettuali e artisti che, nel periodo che va da maggio a settembre, varcano i confini dell’isola. Da maggio a settembre la Sardegna esplode, intellettualmente e artisticamente.  

È tutto un pullulare di festival, eventi e laboratori sensoriali. Sovente, tali festival (nello specifico quelli letterari e musicali) vedono alla direzione artistica nomi ritenuti pressoché insindacabili di personaggi che osservano la Sardegna da fuori, e la utilizzano come un grande laboratorio esperienziale all’aperto per realizzare idee nate durante i mesi freddi, a fianco a un termosifone dell’appartamento in periferia di città come Milano, Bologna o Roma. Grandi nomi, profeti in Patria per antonomasia, si accostano a un grande seguito: va da sé. Finanziamenti regionali consolidati e pubblico fedele che non vede l’ora di assistere ai mille eventi che costellano l’estate sarda. Finanche troppi eventi.

Orde di turisti spesso d’impronta alternativa, non si capisce più a cosa però, oltre al buon gusto e alla buona educazione, affollano manifestazioni organizzate nei luoghi più difficili da raggiungere: scalzi e vestiti con impostata sciatteria con l’intento primario di distendersi (e di sbragarsi). Ovunque. In cima alle montagne, sulla riva di fiumi e a ridosso di piscine naturali.

Tutti in preda alla vorace esigenza di rilassarsi, a tutti i costi e con ogni mezzo, per rifarsi la pelle spirituale tramortita da un anno di stress e ansie procurate dalla frenetica esistenza di tutti i giorni, contraddistinta dal rispetto dell’etichetta e delle elementari regole del civil vivere. Quella vita che hanno agognato quando vivevano qui in Sardegna, per quanto riguarda i sardi che tornano nella terra natale durante le ferie. Quella vita che tutti gli altri visitatori sognano di poter interrompere, almeno per poche settimane all’anno, con la speranza che basti a ristabilire ritmi ed equilibri più a misura d’uomo. Considerare la Sardegna meta ideale di vacanze e relax estivi, però, ha delle conseguenze, spesso sottovalutate.  

La maggior parte del pubblico che segue gli eventi più “in” in programma, abita in Sardegna tutto l’anno. La macchina burocratica e logistica necessaria a realizzarli è tenuta in moto da persone che lavorano e vivono in Sardegna tutto l’anno. Il luogo ideale delle vacanze degli altri, in sintesi, esiste di fatto grazie a chi, su quest’isola, ha deciso di vivere, nonostante le alternative possibili.  

E se gli artisti hanno i luoghi dove esibirsi, una volta rientrati per pochi giorni, è grazie a chi, quei luoghi, li ha fatti vivere anche nel periodo delle “vacche magre”. E grazie a chi, quelli spettacoli, è andato a seguirli tutto l’anno, ossia coloro che, questa terra, hanno deciso di viverla davvero, con i suoi pro e i suoi contro. E che, spesso, si sono sentiti ripetere, fino alla nausea, dai navigati esperti del mondo Off Sardinia, che avrebbero fatto meglio a lasciare tutto, ad abbandonare la baracca, a cercare di più: ma sempre e solo altrove. Questa narrazione comincia a stancare e ad ammorbare le orecchie di chi non solo non ha avuto la possibilità, né in passato e né oggi, di fare esperienze di studio/formazione/lavoro fuori, ma anche di chi, pur avendole fatte, vive per convinta scelta in uno dei 377 comuni che formano il tessuto sociale di quest’isola.  

Se tutti coloro che hanno un talento riconosciuto, una carriera di successo, un’affermazione professionale raggiunta, continuano a vivere fuori, per scelta, invece di portare – o riportare – il proprio bagaglio di esperienze a casa, cosa resta? Succede che la Sardegna si svuota progressivamente, con e senza effetto ciambella. Con le conseguenze che questo comporta. Non solo per quanto riguarda il carico umano che deve sopportare durante i mesi più caldi. Perché se è vero che il turismo di massa porta risorse economiche, è anche vero che, per soddisfare la voglia di relax di massa dei turisti agostani, occorrono braccia ed energie tese al massimo dello sforzo, per chi lavora soltanto tre mesi all’anno.  

Sarebbe auspicabile un riequilibrio di flussi umani, di offerte e di prospettive. Per far sì che le possibilità che vengono date ai soliti nomi siano invece alla portata di tutti gli operatori culturali, tutto l’anno. Per ottenere la giusta considerazione da parte della politica, anche, per chi queste strade le percorre anche con il vento e il freddo, trovando spesso delle buche che, magicamente, vengono tappate in prossimità della stagione, perché altrimenti “che brutto biglietto da visita sarebbe, per i turisti!”. Buche reali e buche metaforiche, per inteso. Per chi si è stancato di questa narrazione dominante che ci racconta perennemente dell’uno su mille che ce la fa/ce l’ha fatta/ce la potrebbe fare, andando fuori, e tralasciando i 999 che non hanno i riflettori puntati, ma che costituiscono il fulcro del tessuto urbano e sociale di quest’isola.  

 A tutto ciò, poi, si aggiunge la fatidica frase detta indistintamente da turisti e da ex residenti: “La Sardegna è bellissima, il mio sogno è di venirci/tornarci per la pensione!”. E così, ciò che si configura all’orizzonte non è solo una terra vuota, ma dove a perdersi incantati alla vista di tramonti e sterminate distese verdi, in cui saranno probabilmente visibili ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici e pale eoliche all’orizzonte, saranno soltanto pochi vecchi che, allungando lo sguardo in un afflato d’immensa malinconia, e constatando l’assenza di giovani, si ritroveranno immancabilmente a chiedersi: “Era davvero questo, l’unico scenario possibile per quest’isola?” 

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Mondo Eco- Festival di Letteratura – Sostenibilità Ecolologica Sociale e Culturale

In un momento in cui promuovere il proprio lavoro sembra quasi impossibile, sono molto felice di essere stata invitata a parlare del mio “Un modo semplice” alla prima edizione del Festival Mondo Eco, diretto dall’associazione Il Crogiuolo con la direzione artistica di Rita Atzeri.

Nel programma scrittori e personaggi televisivi come Filippo Solibello, Andrea Vianello, Flavio Soriga, Francesco Abate, Tessa Gelisio e tanti altri.

https://www.ilcrogiuolo.eu/mondo-eco/

Tempi ancora difficili, non semplici da sostenere. Nonostante tutto, Il crogiuolo vara la prima edizione del festival di letteratura MONDO ECO, dedicato proprio alla sostenibilità ecologica, sociale e culturale, organizzato con la direzione artistica di Rita Atzeri e con il sostegno
dell’Assessorato alla Cultura (Servizio beni librari) della Regione Sardegna. Un progetto articolato, con un programma nutrito, e un calendario serrato, dal 14 novembre al 20 dicembre, che prevede incontri con autori di levatura nazionale e regionale (in modalità on line, nel totale
rispetto delle disposizioni anti-Covid vigenti, fino al 3 dicembre), laboratori di scrittura creativa, con la Scuola Holden, e canto, appuntamenti di animazione alla lettura che coinvolgono, in diverse aree della Sardegna, luoghi chiave della cultura e dell’istruzione come scuole e biblioteche, della cura, come ospedali e case di riposo, del recupero sociale, come il carcere. Importante per il festival la rete di collaborazioni che si è andata costituendo, con enti, istituzioni, associazioni, di volontariato, culturali e di spettacolo, festival letterari, i Sistemi Bibliotecari Monte Claro (Città Metropolitana di Cagliari), del Nord Ogliastra, Làdiris (Selargius, Quartucciu, Quartu), Bibliomedia (Assemini, Elmas, Decimomannu, Decimoputzu). Mediapartner di progetto del festival sono Eja tv e Radio X.

Mondo Eco, avendo come obiettivo primario la promozione della lettura, intende stimolare l’attenzione verso temi di stretta attualità, come, in questa prima edizione, quello della Sostenibilità, fattore determinante per il futuro della vita sul nostro pianeta, negli ultimi anni oggetto di interesse e discussione a livello mondiale, che il festival vuole indagare e declinare con l’aiuto della letteratura. Il crogiuolo, dopo oltre trent’anni di attività nel mondo del teatro e degli eventi culturali, ha deciso di investire su una rassegna originale, con una variegata rete di partner e con l’ambizione di diventare il primo festival letterario sardo dedicato alla Sostenibilità. I temi cambieranno di edizione in edizione: per quest’anno le parole chiave saranno “sostenibilità ambientale”, “economica”, “sociale” e “della comunicazione”.

Un festival “territoriale”, che abbraccia diversi luoghi, con la finalità di dislocare le sue attività e diffondere il più possibile i suoi contenuti. Non casualmente gli eventi, al netto della situazione determinata dall’emergenza sanitaria, coinvolgono città come Cagliari e Sassari e altri centri meno grandi dell’Isola, con lo scopo non secondario di aiutare i piccoli paesi ad affrontare il grave problema dello spopolamento.

“Mondo Eco nasce dall’esigenza di raccogliere quelle riflessioni e quelle esperienze, siano esse in ambito letterario o saggistico, che consentano di consolidare ed estendere la coscienza della imprescindibilità del concetto di ‘sostenibilità’ in tutte le forme del vivere, perché il nostro pianeta arresti quel processo che lo candida alla morte certa”, sottolinea Rita Atzeri, direttrice artistica del Crogiuolo e del festival. “Siamo pienamente convinti che ognuno, piccolo o grande che sia, debba fare la sua parte e siamo altrettanto convinti che la letteratura, il teatro, l’arte in genere, possano essere il migliore volano per raggiungere la coscienza collettiva”. E ancora: “Mondo Eco declina il concetto di sostenibilità in tutti gli ambiti del vivere. Parliamo di sostenibilità ecologica, politica, culturale e sociale, perché sono aspetti fortemente interconnessi. Le scelte politiche – conclude Atzeri – possono tutelare o distruggere un ambiente naturale, e in questi mesi abbiamo avuto esempi dissennati in piccola e larga scala: abbiamo visto bruciare l’Amazzonia, con la complicità del governo brasiliano, e vediamo scomparire gli alberi nelle nostre città, Cagliari inclusa”.

L’11 dicembre Daniela Piras, scrittrice sassarese, laureata in Scienze della Comunicazione e Giornalismo, parlerà nella Biblioteca Satta di Nuoro del suo libro Un modo semplice. Sostenibilità della violenza di coppia (Talos edizioni).

Sulcis Iglesiente – L’altro lato della bellezza

Foto di corredo all’articolo apparso su PesaSardigna giovedì 18 giugno.

Iglesias: sotto il marketing turistico un territorio in abbandono

Il comune di Iglesias ha promosso una campagna turistica decisamente discutibile (a cominciare dallo slogan, Iglesias CI PRAXIRI), scritto senza rispettare alcuna norma linguistica del sardo. Alle critiche costruttive di esperti il sindaco Mauro Usai ha subito risposto piccato con un post social:
“Ha un suono più dolce e pronunciabile per il turista rispetto alla forma corretta, per i turisti, non per i puristi”. In un secondo tempo ha rincarato la dose sostenendo che “il mondo indipendsovransardista” complotta contro il comune .

Qualche giorno fa la scrittrice e giornalista Daniela Piras si è recata proprio in quel territorio e ha documentato una situazione di grave abbandono. Ha scritto agli organi competenti ma non ha ricevuto alcuna risposta.

Pubblichiamo l’articolo di Daniela Piras e aggiungiamo che no signor sindaco, no nos piaghet pro nudda custa cosa!

p.s. la lingua ha le sue regole e di norma gli inglesi, i francesi e gli italiani (per fare alcuni esempi) non parlano la loro lingua adattandola ai gusti dei turisti..

di Daniela Piras
Dopo la chiusura di tutte le attività dovuta all’emergenza sanitaria dei mesi scorsi, la situazione turistica in Sardegna appare ancora precaria. Le acrobazie prestigiatrici che hanno mimato i cambi di rotta del presidente della Regione Solinas riguardo la procedura da seguire per riaprire l’ingresso ai turisti sono state accompagnate da polemiche che hanno visto esprimersi giornalisti, importanti sindaci oltre mare, albergatori e non solo: tutti eravamo interessati e coinvolti in qualche modo nelle sorti dell’imminente stagione.

Nel mezzo di polemiche e discussioni varie, capita che, a fine maggio, mi ritrovo a fare un’escursione nella zona del Sulcis iglesiente, con mascherina e gel a seguito. Ciò che mi si para davanti è una situazione che mi preme segnalare, tramite e-mail certificata, al comune di Iglesias. Ad oggi, 18 giugno, non ottengo nessuna risposta dagli uffici preposti. All’indifferenza e all’abbandono di alcuni luoghi segue l’indifferenza degli uffici preposti. Ci ritroviamo, in Sardegna, nella nota situazione che porta ad inveire contro chiunque esprima, dall’esterno, una critica alla nostra isola. In tali casi assistiamo a un vero e proprio sciorinamento di tutto ciò che ha reso la nostra terra importante: a partire dalla civiltà nuragica per finire alla bontà dei nostri formaggi e della “nostra” birra Ichnusa.

Capita così che certe segnalazioni non siano degne di nota, forse perché a farle non sono noti intellettuali arrivati dal continente con occhio critico e attento, a cui viene riconosciuta un’autorità e ai quali si tende a guardare dal basso.

Riporto qui quanto scritto al comune di Iglesias nella mattinata del primo giugno:

«Buongiorno. Vi scrivo per segnalarvi la situazione di trascuratezza ed evidente abbandono in cui si trovano le frazioni di Nebida e di Masua, in cui sono stata ieri, domenica 31 maggio.
A fare da contrasto allo splendido panorama e alle bellezze naturali – offerte gratuitamente dalla Natura – ci sono cumuli di immondizie, sia nel centro abitato che nella spiaggia di Masua (dove non c’è ombra nemmeno di un cassonetto) e situazioni di degrado. Il piccolo market della via di passaggio di Nebida pare un negozio fantasma: solo le indicazioni sulle norme di ingresso relative al Covid19 fanno capire che sia ancora aperto.
Mascherine e guanti infestano la via, insieme a cartacce, plastica, immondizia di vario genere, persino nelle aiuole pubbliche che si affacciano sul panorama. Nella spiaggia di Masua un’orrenda cisterna appare, imponente, appena scesi dall’auto, in cima al bar della spiaggia: come è possibile che un luogo di cotanta bellezza, che attira turisti da ogni parte del mondo, sia così trascurato?
Vi scrivo non per fare una semplice polemica (in tal caso avrei inviato tutto a qualche rivista isolana o avrei scritto un post sui Social), ma per chiedervi il motivo di questo abbandono: è davvero un grande peccato che lo sguardo sia costretto a fare lo slalom tra un panorama mozzafiato e un accumulo di cartacce ed erbacce.
Verificate questa situazione, per favore.

Ps: Vi invio in allegato le immagini che testimoniano il tutto.

Grazie.
Cordiali saluti.»

Non si è meritevoli di risposta quando non si scrive da una testata che possa determinare un oscillamento delle prenotazioni negli alberghi dell’isola? Non si è meritevoli di risposta quando si prova a chiedere educatamente spiegazioni riguardo un degrado che danneggia tutti, residenti e non? Mi chiedo cosa sarebbe successo se queste stesse righe fossero state pubblicate da Massimo Fini sul “Fatto Quotidiano”? Esiste forse un patto di non belligeranza implicito, tra noi sardi? È un accordo che prevede di voltare lo sguardo dalla parte opposta di quella dove giacciono le cicche nascoste tra i cespugli? E se cominciassimo ad indignarci veramente? Se il tanto decantato amore per la propria terra si risvegliasse anche davanti a spettacoli del genere, senza aspettare la spinta che porta soltanto ad insultare il prossimo (con nome e cognome) sui Social? Forse se smettessimo di girarci dall’altra parte, quando vediamo simili spettacoli, qualcosa potrebbe iniziare a cambiare, piano piano. Perché gli strumenti li abbiamo. Ad immortalare il solito tramonto sulla spiaggia siamo capaci tutti, magari aggiungendo l’hashtag “Per paradiso Dio intendeva Sardegna”, ma la macchina fotografica può essere usata anche per segnalare certe situazioni, perché finché certe cose saranno considerate normali nulla mai potrà cambiare. La questione è emblematica, e non si esaurisce con un accumulo di mondezza.

È la metafora dell’ignavia politica. Non fare niente per cambiare le cose, non esprimersi, non parteggiare, non rendersi attivi, non votare. E dopo lamentarsi attraverso i Social da sotto la nostra copertina trapuntata.

TVB Sardegna e strategie di rilancio onnivore

È stato approvato recentemente dalla giunta regionale il programma “TVB Sardegna LavORO”.  Dietro ciò che pare un nome invitante ai buoni sentimenti patriottici si celano gli acronimi Tirocini, Voucher, Bonus agli obiettivi stessi del programma Orientamento, Rafforzamento delle competenze e Occupazione.
Il programma dispone di una dotazione finanziaria di 73,6 milioni di euro, suddivisi nel quadriennio 2019 – 2022.
Favorire l’ingresso (o il reingresso) nel mercato del lavoro, offrire una formazione mirata, specializzare, riqualificare, riconvertire professionalmente e incentivare le imprese affinché assumano giovani e disoccupati.
I corsi proposti sono gratuiti e hanno sede in alcuni punti chiave dell’isola: Elmas, Sanluri, Alghero e Cagliari. Riguardano varie figure: si spazia dal corso di sartoria a quello di giardiniere passando per quello di animatore sociale, di esperto dei sistemi di qualità  e di potatura e innesti, fino ad approdare ai più internazionali corsi di Web Digital Marketing,  Snack Bar  e Wine Taster. I corsi possono essere frequentati da tutti coloro che ne hanno i requisiti e sono distinti principalmente per via della fascia d’età a cui si rivolgono: under 35 e over 35 (anche qui l’inglese è d’obbligo).
Ai tempi d’oggi, e considerando che in Sardegna la situazione economica a memoria di chi scrive non sembra mai essere stata rosea, mettere in atto degli strumenti tesi a favorire l’inserimento lavorativo e l’acquisizione di competenze è, di per sé, d’obbligo.
Ricordiamo che la Sardegna ha il triste primato nella classifica riguardante l’abbandono scolastico in Italia con una percentuale del 37,4% (fonte Il Sole 24 Ore, immagine allegata) e che il vagone “Italia”rappresenta il primo nel treno dei Paesi più ignoranti d’Europa. Sono i dati che emergono dall’annuale classifica IPSOS Mori sull’ignoranza dei popoli: per l’autorevole classifica l’Italia risulta essere la dodicesima al mondo e la prima in Europa (L’IPSOS Mori è un’importante azienda inglese di analisi e ricerca di mercato, N.d.R.).
Nel programma TVB però, sembra mancare qualcosa. A vedere bene manca la Sardegna. I corsi proposti appaiono neutri, interscambiabili e adattabili a qualsiasi regione italiana. Giardinieri, baristi ed esperti di vini, esperti di sistemi di qualità e web marketing… Manca qualcosa che sia focalizzato sulla Sardegna, che abbia un occhio di riguardo per quelle che sono, oggettivamente, le nostre fonti di ricchezza.
In un momento in cui le maestranze artigianali si perdono e finiscono relegate nell’angolino del Folklore e delle “specialità”, in primis quelle legate al mondo dell’artigianato, dove ci troviamo a leggere dell’eroismo e del coraggio di chi si cimenta in particolari settori tradizionali, dove chi ha acquisito delle competenze in determinati procedimenti, ad esempio Chiara Vigo nella lavorazione del bisso, diviene un’icona quasi fiabesca, abbiamo davvero bisogno soltanto di esperti di web marketing? Abbiamo bisogno soltanto di saper preparare cocktail e finger food?
Sarebbe stato interessante trovare, tra i corsi proposti, anche quello per imparare l’arte della tessitura, quello per imparare le tecniche di lavorazione della ceramica artistica o per acquisire la manualità necessaria a realizzare i pani e i dolci sardi; per apprendere l’arte di chi sa intagliare il legno e disegnare le magnifiche cassapanche e madie che troviamo esposte nelle case storiche visitabili nell’ambito delle varie “Cortes Apertas”.
Non dovremmo essere stanchi di sentire parole come “unico”, “tipico”, “antico”, “tradizionale”? A volte sembra che la Sardegna sia una terra ai margini di un arcipelago mondiale in cui sta per sprofondare, tenuta a galla soltanto da tradizione e folklore ed invece la Sardegna esiste ogni giorno, non solo negli appuntamenti delle Cortes o nelle cerimonie liturgiche, e ogni giorno esistono anche i sardi che magari in questa terra vorrebbero restare, e non a fare esclusivamente i web master o i barman.
Immagine tratta da Il Sole 24 ore. 
Articolo scritto per PesaSardigna del 11 dicembre 2019

Sulle elezioni (e sui candidati)

In tempi roventi pre appuntamento elettorale siamo, chi più chi meno, sommersi dai cosiddetti santini, immaginette raffigurati volti sorridenti, o strategicamente riflessivi.
Tutti i candidati, all’interno di questo ipotetico mazzo di carte, paiono essere ugualmente validi. Come non ricordarsi dell’amico o dell’amica impegnato/a in questa e quella lotta, anche se solo ricorrendo all’arma dei post selezionati con cura da condividere sui social? L’immagine è tutto, ai tempi d’oggi, o quasi. E come non riconoscere il merito di quel padre di famiglia che, per amore del futuro dei figli, decide di “scendere in campo”? A fianco agli habitué del firmamento simbolico spiccano anche le “new entry”, ovvero uomini e donne di cui non si aveva ricordo, di cui si erano perse le tracce e che paiono tornare alla vita come d’incanto; in base al distretto in cui si candidano si riesce a risalire alla loro provenienza, si capisce dove vivano e dove, probabilmente, hanno sempre vissuto, in una sorta di letargo sociale, prima di sentire la voglia impellente di provare quel brivido, da sfida politica.
E da qui vorrei partire, proprio dal significato della parola “politica”. Per i greci la parola corrisponde al neutro plurale dell’aggettivo politikos e significa “le cose che riguardano la polis, città, cioè comunità umana autosufficiente”.
Le cose che riguardano quindi non solo la ristretta cerchia familiare, ma tutta la città, l’intera comunità di cui si fa parte. La politica era perciò intesa in senso ampiamente positivo, in quanto considerata la forma più alta di educazione dell’uomo. La polis doveva formare l’individuo, per renderlo capace di vivere la vita politica.
Tutte queste accezioni positive, al giorno d’oggi, sembrano essersi perse. Abituati tristemente a vedere i politici come una manica di arrivisti interessati, innamorati di loro stessi e anelanti al potere. In vista di importanti appuntamenti elettorali, come quello del prossimo 24 febbraio in Sardegna, per quanto ci riguarda più da vicino, spesso non sappiamo che decisione prendere, combattuti da un disfattismo e una disillusione che cercano di contrastare una innata voglia di partecipare, in maniera attiva, alla vita politica, sia creando la propria “carta da gioco” da aggiungere alla rosa dei papabili, sia segnando con una croce la propria preferenza.
Tornando allo spirito primitivo che è alla base dell’impegno politico, credo si possa attuare una cernita tra tutti i candidati con un metodo piuttosto semplice. Mi riferisco ai candidati vicino a noi, coloro che conosciamo non solo per averli visti in tv.
Negli anni 80 andava di moda un gioco chiamato “Indovina chi” dove, in base ad elementi riguardanti la fisionomia dei personaggi presenti nel gioco (colore dei capelli, presenza o meno di occhiali, colore degli occhi ecc.) si doveva arrivare a scoprire quale fosse il personaggio della figurina in possesso dell’avversario. Si andava per esclusione, ripetendo ed incrociando le domande in più turni, fino ad eliminare tutte le figure tranne una.
Un gioco simile può essere fatto anche con i candidati, incrociando caratteristiche e peculiarità che rendono ogni candidato, a suo modo, unico.
Le domande, in questo ipotetico gioco di figurine, potrebbero essere: Cosa ha fatto lui/lei in passato? Cosa spinge questa persona a volersi candidare? Quali sono le sue qualità (se ne ha) e quali i suoi progetti? Quali sono i suoi ideali?
Ma il mazzo di carte costituito dai santini viene mescolato troppo in fretta; in mezzo al vortice è molto difficile ricostruire una, seppur approssimativa, “storia politica” del candidato. Dichiarazioni a mo’ di pillole di saggezza, filosofia spicciola, condivisione di ideali meticci e non ben interpretabili. Confusione e ancora confusione, che spesso porta ad una scelta elementare: o non si va a votare, perché convinti di non essere validamente rappresentati, o si vota la “persona”, il “conoscente”, “la brava persona” che però, a volte non ha niente da dire, e da dare, dal punto di vista politico.
Concentrarsi sul programma presentato da questa o quella lista non appare semplice, specie quando questo appare generico e improntato su cardini elementari: politiche di sinistra, politiche di destra, e quando a tali politiche fanno riferimento anche liste minori, dove alla fine quasi si fonde il nome del candidato presidente e quello della lista.
Ho pensato a quale potesse essere un metodo alternativo per semplificare il problema. La politica è un alto impegno sociale, che il candidato intende portare avanti, un impegno gravoso e che esige non solo interesse ma anche sacrificio, e la presenza di virtù etiche.
Ora, ci si potrebbe chiedere: Chi è il candidato? Chi c’è dietro a quella faccia rilassata, falsamente timida, sorridente?
Prendiamo un esempio pratico. Nella mia idea il “Politico” è una persona che, oltre ad interessarsi alla sua vita, al suo metro quadro, alla sua ristretta cerchia, è spinto da una voglia tale di portare avanti i suoi ideali, il suo impegno, una voglia tale di fare qualcosa attivamente per cambiare la società e la vita di tutti in meglio, e non solo la propria.
Eppure c’è chi si candida anche senza averla, una vita. C’è chi si candida perché nella propria vita personale non ha nulla, per riempire un vuoto cosmico. C’è chi farebbe di tutto per darsi una chance pubblica perché nel privato ha fallito pietosamente. Ecco, il candidato ideale, oltre a proporre un progetto politico valido, e un’idea di società nel quale possa riconoscermi, che vorrei cercare di votare, è colui (o colei) che, oltre ad avere una vita piena, ricca di affetti e interessi, ha anche un surplus di energia tale da poterla dedicare agli altri.
È il padre di famiglia che, oltre a curarsi del benessere della moglie, dei figli, del cane e del gatto, oltre ad essere un amico affidabile, una persona gentile e disponibile, è anche la persona che non si gira dall’altra parte quando si tratta di aiutare il prossimo, chiunque esso sia. È colui che si batte per le ingiustizie a prescindere, e non solo quando chi le subisce appartiene al suo stesso schieramento. È colui che, quando viene a sapere che una persona è rimasta senza lavoro a causa di un cambio di strategia aziendale permesso da una riforma emanata da un governo issante la bandiera opposta alle sue idee, non dice “Se l’è cercata, non avrebbe dovuto votarli”. È la persona che si impegna per far funzionare meglio le cose, che si mette in discussione, sempre, che non pensa di avere la verità assoluta in tasca, che non pensa di essere circondato da persone che fanno parte di un livello intellettuale e culturale più basso rispetto a lui. È la persona che fa della sua sensibilità un punto di forza.
Credo che esistano dei valori che vanno al di là degli appuntamenti elettorali. Ma ci sono ancora persone così? Io penso di sì. Per cambiare le cose, la società, per riuscire a vivere in un mondo migliore, dobbiamo fare attenzione a dove posizionare quella croce, perché la politica è fatta dalle persone, e tenerci, per quanto possibile, lontano da narcisisti che altro non fanno che utilizzare la campagna elettorale per dar libero sfogo a tutte le proprie frustrazioni, galvanizzati dalla presenza di un microfono posto sotto al mento da una rete tv locale, e da una piccola cerchia di pubblico che, magari confusa ed annebbiata, ha davvero il sentore che siffatta rabbia possa avere origine da buone intenzioni. 

I movimenti degli anni Settanta in Sardegna in un libro

A Sassari prima presentazione del libro I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente; Ricordando Riccardo Lai [edizioni Condaghes, 2017]

A novembre del 2014 si è svolto, a Sassari, nell’aula magna del Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università, un convegno sul tema: “Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai”. L’iniziativa era stata promossa ed organizzata dalla Fondazione “Sardinia”, da Legacoop del Nord Sardegna, e da quattro cooperative: Airone, Melis & C., Coopas e Ostricola. Ieri, nella sala della biblioteca comunale di piazza Tola, si è presentato per la prima volta il libro che ha origine da quel convegno, e che si è ulteriormente arricchito grazie a varie testimonianze: I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente; Ricordando Riccardo Lai, a cura di Federico Francioni e di Loredana Rosenkranz, edito da Condaghes. Il testo si pone lo scopo di esplorare la dimensione del territorio e rievocare l´orizzonte, comune a diverse generazioni, dei movimenti che legarono Sassari, la Sardegna e il suo oltre, “il Continente”. L’insieme dei contributi dei quali è composto il volume costituiscono una sorta di “ricordo corale” di ciò che sono stati i movimenti negli anni Settanta in Sardegna. “Un periodo vissuto intensamente, ricco di fermenti culturali” ̶  ricorda Carmen Anolfo, bibliotecaria che ha contribuito al testo con un racconto di testimonianza diretto ̶ “non è un caso che il libro si stia presentando proprio qui, nella biblioteca comunale, questo è stato fortemente voluto poiché questa biblioteca è il punto finale delle lotte di quegli anni. È nel 1979 che è iniziato il lavoro per far sì che si realizzasse quello che oggi è un luogo aperto al pubblico, un luogo della cultura, in cui si tengono conferenze, spettacoli, presentazioni di libri. Le lotte di quegli anni non sono finite ma continuano tutti i giorni, ad esempio contro i tagli al settore della cultura”. Durante la presentazione si sono alternati diversi interventi di chi ha collaborato attraverso racconti e testimonianze a quello che è stato definito da Elisabetta Addis, autrice della postfazione “un libro che mancava, un lavoro che ha permesso di realizzare una memoria condivisa del passato e che serve per poter procedere al futuro”. Una serie di articoli nei quali si racconta una Sardegna che niente aveva da invidiare a quello che succedeva in altre città italiane, pienamente immersa nel flusso culturale che riguardava tutta l’Italia. “La Sardegna non era certo tagliata fuori dal flusso delle idee di rottura e cambiamento che contagiarono il mondo intero, nell’isola era presente un laboratorio in cui, anche nella seconda metà degli anni Settanta, il riflusso è stato contrastato da una persistente volontà partecipativa e oppositiva.” ̶ precisa Federico Francioni.

Loredana Rosenkranz ha precisato che nel libro viene delineata una realtà locale densa. “Il lavoro di cura, al quale si è aggiunto un fattore emotivo, ha permesso di legare tutte le storie presenti con armonia; si possono trovare tutti i mondi, tutte le dimensioni della vita e della società, oltre a quello politico”. Non solo un mero lavoro di testimonianza da dedicare ad una persona che non c’è più, Riccardo Lai, ma anche un importante strumento attraverso il quale conoscere e diffondere quello che è stato. “Non si può ricordare ciò che non si conosce  ̶  afferma l’autrice  ̶  ed è per questo che è necessario raccontare, coinvolgere fasce più ampie e trasmettere così quadri di memoria”. Negli interventi di chi ha partecipato attivamente al testo emerge una Sassari viva culturalmente, dove nascono compagnie teatrali, dove il movimento femminista si batte per conquistare maggiori diritti e una piena parità di genere, dove fiumane di gente sfilano per le vie del centro. Le conseguenze di quelle lotte, seppur perse, sono vive ancora oggi. Mario Bonu, nel suo intervento, ricorda che oggi, in Sardegna, sono presenti oltre cinquanta comitati che si battono ogni giorno, movimenti anticolonialisti, ambientalisti, che lottano contro le speculazioni. “I movimenti che nacquero a Sassari erano integrati con ciò che succedeva in Italia. Fummo spesso in collegamento con altri movimenti del continente. Questi si inabissarono non solo per colpa delle BR, avevano anche chi li voleva rendeva elitari, furono sottoposti a contraddizioni forti. Ciascuno di noi diede il proprio contributo per cambiare la società. Non ci siamo riusciti, è vero, ma non è vero che si è persa la speranza, i movimenti infatti non sono finiti, hanno solo preso altre strade, bisogna partire dalle nostre realtà”, ha sostenuto. In chiusura della interessante presentazione, Loredana Rosenkranz ricorda che “nell’anno 9”, così come definito da Umberto Eco, esisteva la politica non della rivoluzione ma del desiderio, in cui le donne erano per la prima volta soggetto da imitare (e non soggetto che imitava). “Era una generazione che puntava alla felicità, non ci si limitava a fare battaglie per il lavoro, ma si ambiva ad un lavoro che rendesse felici, che piacesse; era una generazione che voleva trovare una strada per comunicare con i media. E ci riuscì, tanto che il movimento degli studenti, con il suo rappresentante Gandalf il Viola, si trovò a sbeffeggiare l’esponente del PCI Massimo d’Alema durante una conferenza stampa presso la sede della Stampa Estera, nel 1977. La politica doveva fare i conti con quel movimento, era colpevole di essere estranea al cambiamento nella società italiana, poiché è vero che se la società cambia, anche la politica cambia”.


“I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente”, edizioni Gondaghes 2017, è disponibile nelle librerie cittadine e acquistabile dal sito della casa editrice (clicca qui).

Un interessante spaccato della nostra storia recente, che ci offre tantissimi spunti su cui riflettere e ci fa interrogare sul ruolo della politica al giorno d’oggi.

Le fiabe dei fratelli Grimm. Chi non le conosce?

Le fiabe dei fratelli Grimm. Chi non le conosce? Sono le storie che ci hanno fatto addormentare da bambini, facendoci sognare mondi fantastici. Eppure, i Grimm non avevano idea di scrivere storielle per bambini. Nei loro scopi c’era quello di raccogliere storie attingendo dalla tradizione orale per fissarle per iscritto e conservare le tradizioni popolari della cultura tedesca. Quello che è avvenuto poi, col tempo, è un lento lavoro di “adattamento” che ha subito varie frasi. Quelle riproposte nell’opera edita da Catartica Edizioni sono le traduzioni che Gramsci ha fatto delle fiabe in carcere, che ci svelano delle storie lontane dalle immagini romantiche e fiabesche del quale abbiamo il ricordo da bambini e che tracciano uno specchio della natura umana e delle sue contraddizioni molto ben delineato. C’è sì spazio per personaggi fantastici, ma velati di crudo realismo, esiste una magia di fondo che mette in luce la contraddizione dell’animo umano e la sua complessità. Un mondo fiabesco ma non idilliaco, dove la cattiveria, l’assenza di empatia, il desiderio di vendetta sono presenti sia tra famigliari che tra antagonisti, dove il “vissero felici e contenti” non è mai per tutti. Il volume contiene non solo le fiabe dei Grimm ma l’integrale produzione di Gramsci per l’infanzia, gli “Apologhi”, i “Racconti torinesi” e i “Racconti di Ghilarza e del carcere”.

A ottant’anni dalla morte di Gramsci abbiamo scelto di rendere omaggio ad uno dei più grandi pensatori sardi del XX secolo che, in queste traduzioni, svela la sua capacità di narratore. Un libro adatto sia ai bambini che agli adulti, per un classico che non accenna a perdere la sua attualità. Ordinabile in libreria.

Lingua sarda e Festival in Sardegna

Ho seguito con attenzione la discussione relativa ai festival letterari e alla letteratura in sardo assente nell’ambito di alcuni importanti eventi. Il dibattito riveste oggi una grande importanza, a mio avviso, dovuta al particolare momento culturale che la cultura sarda sta vivendo, attorno alla questione della lingua sarda si sviscerano temi legati alla nostra cultura, alla nostra storia e alla nostra identità, la quale è permeata da esperienze collettive e da scambi culturali, tutto ciò ci rende protagonisti del nostro tempo e della nostra storia e ci aiuta a costruire gli strumenti su cui impiantare il nostro presente e il nostro futuro, tutta la costruzione dell’identità si basa su una sommatoria di esperienze che chiamiamo cultura, quando questa ci rappresenta, ed è questo il punto: cosa ci rappresenta davvero, oggi?

Ho letto i diversi interventi e li ho trovati tutti molto stimolanti, mi hanno fatto pensare e mi hanno fatto interrogare su alcune questioni. Mi sono chiesta se io posso considerarmi, a pieno merito, una esponente della letteratura sarda o se, mio malgrado, devo ritenermi esclusa d’ufficio, per via dell’utilizzo esclusivo della lingua italiana nei miei scritti, se il raccontare la Sardegna mi dia una collocazione di scrittrice sarda o se, a prescindere dai temi, devo essere classificata come scrittrice italiana avente la sola residenza in Sardegna.


Credo che la questione centrale sia quella dell’insegnamento scolastico della lingua sarda. Finché le persone come me, madrelingua italiane, utilizzeranno solo saltuariamente la lingua sarda, nelle sue espressioni più caratteristiche spesso sintetizzate in poche battute, è normale che la lingua, quella con cui scrivere e, di conseguenza, quella da leggere, sarà l’italiano.


La questione principale è che con la lingua, con qualsiasi lingua, bisogna familiarizzare e, nel nostro contesto quotidiano, nel quale la lingua sarda è relegata ad aneddoti della tradizione, all’oralità, a specifici contesti culturali, è praticamente impossibile restarne contaminati. Qualcuno potrebbe sostenere che “basta studiarla, come tutte le altre lingue”, ma io credo che questo, in Sardegna, non basti. Ho partecipato al programma Erasmus e ho vissuto per quasi un anno in Francia. Studiavo il francese, seguivo le lezioni universitarie in francese e, quando camminavo per strada, leggevo e sentivo parlare il francese ovunque. Ero circondata e allo stesso tempo immersa in quella lingua e, dopo qualche mese, quando mi sono ritrovata a pensare in francese, ne sono rimasta molto scossa. Qui in Sardegna, a casa nostra, è diverso. Il sardo non si trova in ogni angolo, non basta studiarlo a casa, quello che manca è un luogo fisico dove poterlo sperimentare e vivere a pieno. Il paradosso è proprio questo: il sardo, in Sardegna, è considerato non essenziale, spesso inutile e facilmente sostituibile con l’italiano. La nostra lingua, una delle nostre ricchezze principali, ha bisogno di trovare gli strumenti, attraverso la volontà politica, per non estinguersi; strumenti come gli uffici linguistici, i quali dovrebbero trovare posto in tutti gli uffici dei piccoli centri, come le manifestazioni di interesse storico – linguistico che dovrebbero essere legate al territorio ma anche aperte a un confronto non solo con l’esterno dell’isola ma anche all’interno, con il fine di placare le polemiche legate alle diverse parlate e ai diversi costumi che altro non fanno che creare ostacoli strumentali e politici che paiono insormontabili. Se ne parla troppo, di lingua sarda, e si parla troppo poco il sardo.

Se tutti i difensori della lingua sarda si impegnassero a parlare in sardo il più delle volte, con la maggior parte delle persone, invece di preoccuparsi, troppo spesso, di tradurre di continuo anche parole la cui interpretazione non lascia spazio ad equivoci (cosa che purtroppo vediamo troppe volte anche nella stampa locale), sarebbe un gran passo avanti. Se chi si sforza di parlare in sardo non ricevesse smorfie ed espressioni di disappunto da parte degli “esperti conoscitori” che ascoltano e che accusano i caparbi parlatori di “storpiare” la lingua, sarebbe certamente più motivato e più propenso nel continuare a provare a parlarlo e, di conseguenza, ad impararlo. Se si riuscisse ad attivare un processo politico, culturale e sociale che portasse ad ottenere una scolarizzazione in sardo, che portasse ad insegnare la lingua sarda nelle scuole, tra qualche anno ci sarebbero moltissimi sardi fieramente bilingue, effettivamente padroni di entrambi gli idiomi. Non è un percorso impossibile, basterebbe mettere in atto delle politiche che non avessero come unico scopo quello di “salvaguardare” il sardo ma quello di mettere in circolo le parole e di farle entrare nella vita di tutti i giorni. A quel punto il passo successivo, e naturale, sarebbe quello che permetterebbe, ad ognuno di noi, di avere la possibilità di scegliere se scrivere in sardo o in italiano, se parlare di Sardegna in italiano, o se parlare di paesi orientali in sardo. Il punto centrale è creare sardi padroni della propria lingua, che siano in grado perfettamente di leggere, e capire, il sardo quanto l’italiano e per cui la decisione di leggere un libro in una lingua o nell’altra, e di conseguenza di scrivere, diverrebbe semplicemente una questione di scelte.

Tornando ai festival, non c’è da stupirsi se spesso la Sardegna, e i libri in sardo, non trovino spazio. Finché non sentiremo vicina la nostra lingua e i nostri autori, è normale che sia così. I festival si chiameranno “sardi” solo perché si svolgeranno in comuni sardi, ma per avere un vero festival della letteratura sarda dobbiamo far in modo di sentire la lingua sarda davvero come “la nostra lingua” e non come qualcosa da tutelare, non come se fosse una specie protetta. Quando questo avverrà sarà naturale vedere autori sardi che presentano i loro libri in lingua italiana, e che secondo me rientrano a pieno titolo nella letteratura sarda, e autori sardi che parlano dei loro libri in lingua sarda.

Occorre ripartire da noi, vedere attentamente chi siamo e cosa abbiamo da dire, e da raccontare, in quanto sardi, perché a volte ciò che sfugge è proprio questo, io credo che prima di pensare a nomi altisonanti da invitare, da salotto televisivo, ci si dovrebbe domandare chi ha effettivamente qualcosa da raccontare, che possa farci viaggiare con la fantasia, divertirci, farci pensare, altrimenti un festival letterario si riduce ad uno spettacolo che ha il solo scopo di attirare il maggior numero di persone possibili, né più né meno come una sagra. È cruciale capire cosa vogliamo essere, prima di tutto, se sardi o se italiani abitanti in un’isola per solo caso. Dovremmo iniziare a sentirci coinvolti in prima persona, perché la lingua sarda è un patrimonio comune di tutti, e non solo di chi scrive o di chi ama leggere, e a tutti dovrebbe interessare la sua tutela e la sua valorizzazione. Dovremo interrogarci su quanto sia normale che la letteratura in sardo resti esclusa da uno dei maggiori festival organizzati in Sardegna. Il fatto che se ne parli è positivo, in ogni caso. Io ho la speranza di vedere, negli anni a venire, un’apertura maggiore verso gli autori sardi nei festival storici, e anche di vedere nascere altri festival, ai quali possano partecipare ospiti internazionali e italiani ma che abbiano il cuore e i testi con le radici in Sardegna.


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