“Oblio”, romanzo tra thriller e introspezione psicologica, di Vito Introna e Francesca Panzacchi.

Quanto può incidere il fato nelle dinamiche di un incontro? Quanto può essere attribuito all’eccessiva empatia, alla voglia di sperimentare nuove emozioni, alla necessità di evadere dalla routine? È la domanda implicita alla quale i due autori di “Oblio”, Vito Introna e Francesca Panzacchi, rispondono nel corso del loro romanzo. I due protagonisti, Eleonora e Alessandro, incontratisi su un treno durante una tratta notturna, dopo un primo momento di diffidenza reciproca, mettono a nudo le proprie fragilità e condividono la loro comune difficoltà di vivere. È nelle pieghe rese visibili da tale esposizione che s’insinua il fascino dell’insolito, il quale fa precipitare Eleonora in un turbine di emozioni che la donna spera, consapevolmente o meno, la possano salvare dall’assedio del tedio che caratterizza la sua vita troppo normale, dove non bastano più gli intermezzi extra coniugali a renderla più interessante. Il romanzo procede volgendo nel thriller, con una serie di eventi che rendono il lettore letteralmente incollato alle pagine. Ma “Oblio” è anche molto altro: apre la riflessione su ciò che comporta seguire delle scelte in campo sentimentale, su ciò che davvero ha importanza e su cosa non ne abbia abbastanza, su quanto capiti di desiderare il contrario di quello che si ha, in una sorta di circolo dell’insoddisfazione perenne. E viene da chiedersi se Eleonora, emblema della donna benestante e annoiata, non abbia indirizzato il suo istinto (o impulso che dir si voglia), mettendo in atto azioni precise, spinta dal peso di una quotidianità che a volte è più intollerabile di ciò che si pensa. Alessandro non è che una pedina nelle sue mani, per buona parte del libro, perché rappresenta quel marcio e quel male di vivere che ancora oggi affascina più che spaventare. Alessandro riesce a smuovere le emozioni più stagnanti di Eleonora, ad entrare in sintonia con la parte più a rischio di ognuno, ovvero quella più intima e profonda, che solitamente si tende a nascondere sotto chili di ansiolitici emotivi. Eleonora, allo stesso tempo, fa emergere qualche sottile speranza di una possibile redenzione in Alessandro, uomo dall’equilibrio precario e dalla mente contorta.
È un romanzo che si può definire come un gioco delle parti, dove la parte psicologica ha la stessa importanza di quella volta all’azione: un libro dove incide molto il substrato emotivo del lettore, perché la chiave di lettura che se ne può dare non è né scontata, né preimpostata.
“Oblio”, edito dalla casa editrice Brè di Treviso nel febbraio di quest’anno, è recentemente stato selezionato nell’ambito del secondo concorso letterario “Tre colori 2020” per la categoria “narrativa lunga (bianco avorio)” indetto dall’Associazione Culturale Cinema e Società di Lenola (LT).

Recensione sul sito “Sololibri.net”

Sul sito “Sololibri.net”, nella sezione “recensioni”, si parla di Un modo semplice

Un modo semplice di Daniela Piras

Talos, 2020 – Diario a due voci di Flavia e Manuel. Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

Un modo semplice (Talos, 2020) di Daniela Piras è il diario a due voci di Flavia e Manuel, due ragazzi che si incontrano ai tempi dei loro studi universitari nella città di Urbino, luogo che diventa coprotagonista della storia.

“E Urbino era così, la città ideale, la città ferma nel tempo, sempre uguale a se stessa, cristallizzata e perfetta”.

Tra Flavia e Manuel nasce subito un’amicizia e poi qualcosa di più, ma non si conoscono davvero.

“Avevamo due modi di vedere il mondo completamente diversi, e molto precari”.

“Non immaginavo cosa gli passasse realmente per la testa, all’epoca davo per scontate troppe cose, credevo che i miei pensieri e i suoi fossero gli stessi, che le parole fossero già diventate superflue, tra di noi”.

E così ben presto il rapporto si incrina, i due si allontanano. Ma Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

“Non era semplice, no, non era assolutamente semplice. Non avevo più il controllo su niente, il mondo sembrava essere andato avanti, così avanti da non poter più essere il mio, e io non mi sentivo più quello di prima. […] I miei neuroni erano completamente assenti, era come se avessi uno sciame di vespe in testa”.

E a Flavia non resta che trovare un modo per superare quello che è successo. Cerca di nasconderlo perfino a se stessa, di adattarsi, di andare avanti, nonostante il continuo stalking di Manuel.

“A volte penso di aver sognato, di aver costruito questo fatto con la forza della mia fantasia, tanto vorrei che davvero non fosse successo, poiché da allora niente fu più come prima. […] Io imparai a convivere con il tormento”.

Ma quello che succede inevitabilmente cambia le persone.

“Dalla mia vita era sparita la musica. […] Mi sentivo muta. Non avevo più niente da dire né da sentire”.

E così a entrambi non resta che cercare di darsi una spiegazione e di proseguire in qualche modo la loro vita, affrontando le fragilità che fanno parte di ciascuno e le azioni che per loro ne sono derivate.

Recensione a cura di Fabrizia Scorzoni

I ritirati sociali: il dramma dei ragazzi che non escono più di casa.

Più di centomila casi in Italia, addirittura cinquecentomila in Giappone. La scrittrice sassarese Daniela Piras affronta il tema in “Leo”, romanzo edito da Talos: una casistica di episodi in cui si mescolano angoscia, umorismo, nevrosi, eziologia familiare.

Di Giulio Neri
«Nella solitudine il solitario divora sé stesso. Nella moltitudine lo divorano i molti». È Nietzsche, in esergo, a far da anticamera. In senso letterale: il mondo di Leonardo Scalas, protagonista di questo romanzo, è racchiuso quasi per intero nei dodici metri quadri della propria stanza. Venticinque anni, studente di Scienze naturali fuori sede (e fuori corso), Leo vive da autorecluso, pressoché incapace di uscire, senza nessun’altra responsabilità oltre a quella di laurearsi. I genitori, una volta al mese, gli consegnano a domicilio la spesa; e ogni giorno, tra le 19 e le 21, lo chiamano al telefono. Lui, in perenne ritardo con gli esami, non ha alcun rapporto con i coinquilini, e amici zero. Un bislacco complesso di superiorità, combinato all’inveterata abitudine di non lavarsi, ne agevola l’isolamento. Così estromesso, puzza e giudica indisturbato, crogiolandosi in una percezione falsata della realtà senza più riuscire a interpretarne cause e effetti. Ogni accadimento, slegato, fluttua in un solipsismo deformante e insensibile, svigorito da una ripetizione di tempo casalingo senza scosse.
Come individuo, Leo esiste in qualità di internauta, saltabeccando fra siti e forum per “leoni da tastiera”, dividendosi nella millanteria di profili social funzionali. Non ci sono traumi significativi nella sua infanzia, ma sembra reagire al terrore di misurarsi con la vita reale, e di mostrarsi per quello che è. Si nasconde come gli insetti che studia, a tutela dell’immagine che la madre iperprotettiva gli ha costruito addosso. Rimpiange la fanciullezza, perché non vuol crescere – e, di fatto, nonostante la barba, non è cresciuto. In rete si spaccia per un dio, ma è un inetto: quando entra in una rivendita di frutta e verdura per comprarsi delle mele, si fa appioppare un’anguria di undici chili.
Stare ai margini, in tuta da ginnastica e pantofole, significa anzitutto non competere, evitare qualsiasi riscontro. Leo avverte la propria goffaggine, ma non fa nulla per correggerla: la legittima, tutt’al più, inventandosi un’allergia, e tossendo appena può.
La mediocrità dei suoi progressi universitari si camuffa in una presuntuosa aristocrazia di interessi scientifici. Eppure, non appena mette il naso fuori dalla stanza per andare in bagno, per farsi il tè o mangiare una pastasciutta, scopre d’essere “Il lattuga”, l’asociale, lo zimbello dell’appartamento, uno talmente indietro da non avere cognizione dei propri desideri. E senza una coscienza dei propri reali desideri, senza un’autentica disponibilità a mettersi in gioco per realizzarli, qual è il futuro?
È questo l’angosciante interrogativo che pone il romanzo di Daniela Piras. Un’opera che analizza un tema scomodo, e che mette in evidenza con innegabile efficacia la crisi della famiglia contemporanea. La sfumatura clinica è avvalorata da un’autorevole prefazione di Matteo Lancini, dell’Università Milano-Bicocca, e Antonio Piotti, psicoterapeuta impegnato nella prevenzione delle condotte autolesive e del tentato suicidio adolescenziale.

Leo nei meandri della psicanalisi nell’era del web (di Claudia Zuncheddu)

di Claudia Zuncheddu
 
Leo, il romanzo di Daniela Piras, giovane scrittrice sarda, si fa amare per la freschezza con cui, raccontando una storia di ordinaria amministrazione, stimola riflessioni sulla metamorfosi comportamentale dei giovani nell’era del web. L’argomento è facile preda della psicanalisi.

La storia di Leo si presta a diverse interpretazioni stimolanti, la prima è sotto il profilo patologico. Qualche psicanalista, a mio avviso, seguendo una pista sbagliata attribuisce a Leo un disturbo narcisistico, facendosi sfuggire una figura apparentemente insignificante e marginale nel romanzo: la madre di Leo. Il narcisista patologico è un manipolatore che necessita di una platea dove esibire la grandiosità del proprio ego e dove individuare la vittima a cui creare in modo consapevole dolore.

Leo invece sfugge dal mondo reale, schiva chiunque possa incrociare nelle rare uscite da casa, dalla sua stanza, dal suo mondo virtuale. E’ ossessionato dal più banale incontro con chicchessia, dai genitori che vanno periodicamente a trovarlo con i rifornimenti per la sua sopravvivenza, agli studenti con cui condivide l’appartamento. Meglio non uscire di casa, neppure aprire le finestre, per tuffarsi nel mondo virtuale che gli offre tutto ciò che desidera senza chiedergli in cambio alcuna verità.

Leo di fatto è vittima del narcisismo patologico e paradossalmente subdolo di sua madre che lo ha infragilito e svuotato trasformandolo in contenitore del suo grande ego. Il bambino Leo, per chi l’ha messo al mondo, non deve crescere. Alla sua inadeguatezza nell’infanzia, segue quella nell’adolescenza e nella fase della gioventù. La sintesi di quest’aspetto relazionale tra madre e figlio è espressa nella frase ricorrente “Ometto di mamma…hai mangiato… hai dormito… hai studiato?”. Leo ha 25 anni e tra i tanti mali ha pure una sessualità inevitabilmente soffocata. La fantasia del sesso potrebbe risvegliargli la curiosità per il mondo reale.

Leo falsamente brillante, speciale, con tanti esami sostenuti, ad un tiro di schioppo da una laurea in Scienze naturali, è la condizione irreale su cui converge la complicità tra madre e figlio. E’ con l’aiuto materno che Leo ha costruito le barriere di difesa dal mondo reale, a partire dalla notoria puzza emanata dal suo corpo e creata ad arte perché nessuno gli si avvicini. Solo la madre seppur perfettina è la sola a non cogliere quell’irresistibile fetore da cui tutti fuggono.

In conclusione, Leo non ha voglia di vedere e di manipolare nessuno. E’ solo un bugiardo per necessità che fugge su internet alla ricerca dell’identità negata. Se nel romanzo c’è un personaggio con un disturbo narcisistico di personalità andrebbe ricercato nella figura pallida e sfuggente della madre. Leo potrebbe essere più che narcisista patologico, la vittima del narcisismo materno.

Il romanzo di Daniela Piras stimola il fascino della psicanalisi spostando l’attenzione verso i dintorni dell’attore apparentemente principale e nello stesso tempo spalanca la finestra sul vasto mondo virtuale delle nuove generazioni. La rete può soddisfare bisogni e inibire stimoli. Consente, chiudendo la porta di una camera, di trovare la soluzione, seppur effimera, ai fisiologici conflitti generazionali tra genitori e figli. Non è più necessario fuggire. Eppure è da quei conflitti che si costruiscono le fondamenta dell’emancipazione e dell’indipendenza dell’individuo.

Quel mondo virtuale, può evocare il fascino della Fata Morgana, quel miraggio che nel deserto attrae irresistibilmente il viaggiatore inconsapevole, disorientandolo sino a farlo perdere nelle grandi sabbie dove farlo morire. La scrittrice sarda, con il suo romanzo Leo, stimola la fantasia e le riflessioni del lettore su temi di grande attualità e del quotidiano di tutti. Essa lascia ampi spazi dove avventurarsi persino nei meandri della psicanalisi.

 
 

Sentirsi diversi (di Alessandra Di Nucci)

di Alessandra Di Nucci (Quello che le copertine non dicono)


Daniela Piras è un’autrice di cui ho già avuto il piacere di leggere una sua raccolta, “Crash” (al link la recensione) che si affacciava con occhio critico al decadimento etico e morale del nostro secolo.
Ha mantenuto intatta questa sua spiccata sensibilità anche nel suo ultimo romanzo, intitolato “Leo” in cui focalizza l’attenzione sulla generazione di giovani studenti universitari che si trascinano giorno dopo giorno incapaci di dare un senso alla propria vita o costruire delle prospettive per il futuro.
Leo è un ragazzo di ventidue anni cresciuto nella più completa bambagia, servito e riverito da mamma e papà (di cui odia le visite il quindici di ogni mese) che hanno fatto sempre di tutto per lui, arrivando addirittura a fare la fila all’università per la consegna dei moduli con cui ogni studente è costretto a confrontarsi.
È agorafobico tanto da odiare i giorni in cui non può proprio evitare di uscire dalla sua stanza, è vittima dell’accidia tipica degli scansafatiche, trova addirittura troppo impegnativo assolvere all’igiene mattutino oppure deleterio per la salute del proprio corpo fare una doccia, al punto da emettere una puzza talmente pregnante da far venire la nausea al povero di turno con cui entra per sbaglio in contatto; è asociale tanto da evitare soprattutto i suoi coinquilini cercando di uscire dalla stanza quando loro non ci sono.
Leo è fondamentalmente un bambino il cui corpo ha avuto una normale crescita, a differenza della sua testa rimasta ancora ai suoi eroi dell’infanzia, primi fra tutti Lisa Simpson.
Il nostro protagonista è tanto schivo nella vita reale quando presente e attivo in quella virtuale: commenti fatti di citazioni di autori che nemmeno conosce ma che gli danno un’aria da intellettuale, finti sabati sera con finti commenti scritti da finti profili gestiti da lui, giusto, all’apparenza, per far credere di avere una vita attiva ma che in realtà è indice di una solitudine molto forte, di cui si accorgerà troppo tardi.
Un giorno però la sua routine viene scossa da un tragico omicidio consumatasi al di là delle tende della sua stanzetta (da cui solitamente Leo non si affaccia): nell’appartamento vicino infatti un uomo ha brutalmente accoltellato sua moglie e mentre tutti ne parlano (che sia in televisione o al bar) la vita di Leo, che somatizza lo shock con una notte insonne, continua imperterrita fra internet, fiction di Mediaset e la falsa vita sui social, tanto da non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia, cosa che avrà dei veri e propri risvolti drammatici sulla sua psiche.
Strutturalmente il romanzo della Piras divide i capitoli per tematiche in base alle componenti più importanti della vita del protagonista: l’università, la casa, Facebook, i coinquilini e tanti altri, con l’intento di accompagnare il lettore nello studio del fenomeno “Leo”: perché Leo è la trasposizione futura delle nuove generazioni, è indice di un forte disagio sociale e psicologico, un ragazzo che difficilmente riesce a farsi capire dagli altri per via delle sue strambe abitudini e delle sue paralizzanti paure ma che avrebbe davvero bisogno di una persona amica.
Un romanzo che fa riflettere soprattutto a tutti quelli abituati a giudicare con molta leggerezza i comportamenti poco conformi a quelli della società.


>>fonte articolo

“Crash”: uno spaccato di vita di Sassari (di Alessandro Demontis)

Per un sassarese leggere i racconti contenuti in “Crash” è un’esperienza incredibile: trova le vie, i nomi della sua città, trova le caratteristiche peculiari di Sassari e dei suoi cittadini, in bene ed in male, lì davanti a se: timidi (ma non troppo) protagonisti di storie forse inventate ma fin troppo realistiche.

Tutti possono godere i bellissimi racconti che Daniela ha inserito in questo libro, ma per il sassarese questi assumono una valenza particolare. Ogni racconto dipinge perfettamente uno spaccato della vita di Sassari e dei sassaresi, il loro modo di parlare, di agire, reagire; chi legge viene catapultato nella Sassari storica dove risiede un’alta percentuale di immigrati e da anni sede della prostituzione in città, nei vicoli stretti che sono patrimonio della nostra cultura, nel pieno del nostro “ego” sempre ferito ma sempre ricucito, anche quando vediamo la nostra città che ci delude… per noi Sassari è la città più bella del mondo anche quando ogni giorno ci troviamo a dover constatare che la va allo sfascio, spesso per la nostra attitudine a “fottercene di tutto” e a comportarci come pecore.  La passione per la chiacchiera di noi sassaresi è ben rappresentata nello splendido racconto “L’appeso”, molto gustoso; la nostra vena malinconica e sognatrice pervade “La Giulietta”, dove potrete conoscere anche la nostra “bigorrìa”, ossia la tendenza a continuare ottusamente nel nostro sogno anche quando siamo consci che non ci porterà niente di buono. E che dire dell’amara tragicità di “La guerra è finita”?

Racconti che non sono semplici racconti, sono spaccati della vita di una città che in poche pagine concentrano – usando la scusa della “crisi” –  il succo di una intera cultura.

Gente normale in assurde vicende

Lunedì, 4 aprile 2016
LA NUOVA SARDEGNA
Gente normale in assurde vicende

In tempi di crisi, quando le certezze che si pensavano acquisite vacillano, può capitare di perdere la bussola e scoprirsi a compiere azioni o a vivere situazioni assurde che, in altri momenti, si giudicherebbero impensabili. È quanto accade ai personaggi di questi undici racconti (tutti ambientati a Sassari, a parte uno ad Alghero): tipi normali che, dato lo stato di necessità o fragilità, diventano protagonisti di vicende bizzarre, o che vedono la realtà trasfigurarsi sotto ai loro occhi, prendendo le forme del grottesco (come accade ai condomini de “L’Appeso”). Talvolta, finiscono per essere coinvolti nel caos generale anche degli insospettabili: come suor Francesca, ad esempio, religiosa interessata in maniera un po’ troppo sollecita alla cura dei beni terreni di una parrocchiana moribonda.

Crash, di Daniela Piras, Del Bucchia Editore

128 pagine, 12,50 euro

Crash, ùndighi contos subra de sa crisi. Ùrtimu libru de Daniela Piras

Una chistione pro nudda alligra ma chi s’autora resessit a tratare cun ironia e finta lebiesa. Sunt istòrias chi pertocant totu nois e chi, in car­chi manera, amus intèndidu a curtzu. Istòrias de pitzinnos chi ant ite fàghere cun sa crisi econò­mica, giòvanos a sa prima isperièntzia chi s’at­zumbant totinduna cun su mundu de su traballu, òmines chi benint inglobados induna situatzione precària a pustis chi s’esserent gosados de una tranchillidade cuntratale pluriennale ma fintzas istòrias chi cun sa crisi tenent unu raportu fora­nu. Difìtzile a classificare custos contos e a los serrare induna narada, cada unu de issos frunit unu puntu de bista diversu subra sos tempos de oe, si faeddat de prospetivas, de progetos, ambit­ziones, rassinnamentos, ispedientos, imbentivas.

In s’isfundu de sas istòrias b’est sa Sardigna, sa tzitade de Tàtari in ue cumparint sas contrarias, sa tiztade minore e sa bidda manna si fundent. Per­sonàgios pintòricos pòpulant sos cuarteris de intro sa bidda, isvàrias categorias de traballadores s’atò­biant a pare, disocupados chircant un’idea chi los giuatat fora dae sa paule in ue cumentzant a s’in­fangare fintzas sas aspiratziones e sos bisos.
Su filu chi ligat custas istòrias contadas est sa crisi e totu cussu chi nde cunsighit. Una situatzione econòmica disastrada chi ponet umpare, comente una valanga, totu sas bisuras de sa vida de sos pro­tagonistas o de chie s’agatat in su caminu issoro, lompende finas a sa vida personale e sentimen­tale. E inoghe si ponet in lughe carchi cosa chi de ispissu benit sutabalidada: sos retroscenas de una vida chi paret tranchilla, sa solitùdine de s’ànima a dae segus de sa seguresa econòmica, sa dificultade seberende unu tempus benidore.
Totu s’imbòligat e si culligat intre atores chi parent no apant nudda in comune. Una sorta de revolutzione suterrània in ue sunt protagonistas comunes tzitadinos, chi cada unu de custos s’iscorrat cun sas difi­cultades de pòdere re­alizare sas ambitziones pròpias.
Unu libru chi si lassat lèghere bene e chi at sa capatzidade de fàghere a rìere e dare a pensare, a pustis.
A finitia de su libru s’at comente su sentidu de non àere tentu totu sas respostas, comente unu film arressadu a meidade, e tando si bi rendet con­tu de su sinnificu de cantu iscritu in sa de bator co­bertinas: “Est totu neghe de sa crisi”, una giustifi­catzione a totu cussu chi non si resessit a ispiegare cun sa rejone.
LOGOSARDIGNA est una revista culturale chi tratat de limba e cultura sarda.
Revista publicada fintzas cun su contributu de s’Assessoradu de s’istrutzione pùblica, Benes culturales , Informatziones, Ispetàculu e Isport (Servìtziu Limba e Cultura Sarda).
LOGOSARDIGNA è una rivista culturale che affronta argomenti riguardanti la lingua e la cultura sarda.
Rivista pubblicata anche con il contributo dell’Assessorato dell’istruzione pubblica, Beni culturali, Informazioni, Spettacolo e Sport. (Servizio Lingua e Cultura Sarda).

Traduzione in lingua italiana:
Crash, undici racconti sulla crisi. Questo, l’ultimo libro di Daniela Piras.
Un argomento tutt’altro che allegro ma che l’autrice riesce a trattare con ironia e finta leggerezza. Sono storie che riguardano tutti noi e che, in qualche modo, abbiamo sentito vicine. Storie di ragazzi alle prese con la crisi economica, giovani alla prima esperienza che hanno un vero e proprio impatto con il fuoco con il mondo del lavoro, uomini che vengono inglobati in una situazione precaria dopo aver goduto di una tranquillità contrattuale pluriennale ma anche storie che con la crisi hanno un rapporto marginale. Difficile classificare questi racconti e racchiuderli in un’unica dicitura, ognuno di loro offre un punto di vista diverso sui tempi attuali, si parla di prospettive, di progetti, ambizioni, rassegnazioni, espedienti, inventiva.
Sullo sfondo delle storie c’è la Sardegna, la città di Sassari di cui appaiono le contraddizioni, la piccola città e il grande paese si fondono. Personaggi pittoreschi popolano i quartieri del centro storico, varie categorie di lavoratori si incontrano, disoccupati cercano un’idea che li porti fuori dalla palude in cui cominciano a infangarsi anche le aspirazioni e i sogni.
Il filo conduttore delle storie raccontate è la crisi e tutto ciò che ha come conseguenza. Una situazione economica disastrosa che coinvolge, come una valanga, tutti gli aspetti della vita dei protagonisti o di chi si incontra nella loro strada, arrivando sino alla vita personale e sentimentale. E qui si mette in luce qualcosa che spesso viene sottovalutato: i retroscena di una vita apparentemente tranquilla, la solitudine dell’anima dietro la sicurezza economica, la difficoltà nel scegliere un futuro.
Tutto si interseca e si collega tra attori che apparentemente non hanno niente in comune. Una sorta di rivoluzione sotterranea di cui sono protagonisti comuni cittadini, ciascuno dei quali si scontra con la difficoltà di poter realizzare le proprie ambizioni.
Un libro scorrevole che ha la capacità di far sorridere e di far pensare, dopo. 
Al termine del libro si ha come la sensazione di non aver avuto tutte le risposte, come un film interrotto a metà, e allora ci si rende conto del significato di quanto scritto in quarta di copertina: “E’ tutta colpa della crisi”, una giustificazione a tutto ciò che non si riesce a spiegare razionalmente.
Redazione Logosardigna
sede: via XXIV maggio, 19 – 07100 Sassari (SS)

Qualche riflessione, a caldo, dopo la lettura di "Crash" di Daniela Piras (di Valentina Olianas)

Il titolo, anzitutto. “Crash” è il titolo del primo degli undici racconti che, come nella migliore tradizione, dà il titolo all’intera raccolta. Pertinente col primo racconto, come ovvio, questo titolo sembra estendere il fragore del “crash” a tutta la sequenza degli altri dieci. Lo “scontro” (letteralmente) si coglie in molti punti, principalmente quello tra realtà e proprie aspettative (Crash, Il cliente, Un cortile in comproprietà), tra realtà “vera” e quella rappresentata dai social (Il pacco) o semplicemente “percepita”, (Subaffitto, L’appeso).

Il tema che sottende questa narrazione è il “lavoro”, soprattutto il lavoro che non c’è: il lavoro come aspirazione, come miraggio, come ossessione. Se questo è il filo conduttore della narrazione, si profilano di volta in volta altri temi legati a quello principale, come il degrado, quello urbano e, talvolta, umano (L’equivoco, Un cortile in comproprietà, Suor Francesca, Crash). Brevi storie, una narrazione lineare, lucida, efficace. Poche righe ed ecco il personaggio, pronto a raccontarsi, a rivelarsi.

Massimiliano e Alessandro, percorsi personali diversi, finiscono per ritrovarsi “nella stessa situazione psicologica ed economica”: il dramma di non trovare un lavoro si tramuta in rabbia, la frustrazione fa sì che prendano corpo, addirittura, propositi criminali, seppure non portati a compimento (Crash). Anche Mirco e Piero hanno alle spalle percorsi personali diversi, hanno studiato, ma esibiscono reciprocamente professioni “immaginarie”, con celato pudore (Il cliente). Nei dialoghi concisi e mai banali rimbalza in varie pagine un “J’accuse” (mi viene da definirlo così), quello di una generazione che oscilla tra la rassegnazione e la rabbia. E dove non c’è ampio spazio per la speranza, consegnata alla frase di rito “la crisi finirà”.

Tra tutti mi sono molto piaciuti “La guerra è finita” e “Il volantino”. Il primo perché descrive in maniera molto efficace le nevrosi che si possono innescare in condizioni di eccessivo stress non solo da lavoro ma “a causa” del lavoro, situazione indotta dal senso di precarietà, per esempio. Il secondo perché, a parte il finale “noir” avvolto nel più fitto mistero, descrive una situazione, come il primo, di emblematica precarietà.

Molte riflessioni si dipanano dopo questa lettura e tante meriterebbero a pieno titolo un’analisi appropriata, sul piano dei diritti, per esempio.
Questi undici racconti mi sono molto piaciuti: per il tema trattato e la scrittura efficace e scorrevole. Per certi versi, il libro, ha un suo profilo sociologico perché descrive realisticamente, aldilà della finzione letteraria, uno spaccato della società dei nostri giorni.