La Sardegna oltre l’estate

Una mia riflessione che ha trovato spazio sul blog S’Indipendente, blog aperiodico dell’Assemblea Nazionale Sarda, la voce del mondo dell’autodeterminazione sardo.

È da qualche tempo che la Sardegna, consolidata meta di turismo estivo, si sta rivelando capace di attirare vasti flussi di visitatori anche nelle altre stagioni. I motivi sono tanti, e vanno dalla ri-scoperta del patrimonio archeologico, che grazie ai social e al web in generale sta conoscendo una nuova, fortunata epoca, alla riacquisita consapevolezza, complice la pandemia, dell’importanza di godere di ampi spazi naturali e sociali.

Nell’epoca delle new age e delle mille discipline ispirate alla rigenerazione dell’animo, la Sardegna, con i tanti siti storici in cui è possibile recepire intense frequenze positive, è anche al centro di spedizioni in gran stile, con guru spirituale annesso.

Ciò che invece lascia perplessi, in palese contrasto, è quello che appare come un vero e proprio bisogno fisico, che non accenna a diminuire: andarsene dall’isola; scappare non appena possibile. Vale per gli studenti che vogliano costruirsi una carriera, per chi voglia tentare la carta della fortuna all’estero, o anche solo nella penisola italica, per chi non riesce quasi a concepire il fatto di individuare, nella Sardegna, non solo il luogo di nascita, o il luogo “del cuore”, che fa rima con la finta autenticità degli antichi “borghi” tanto in voga, ma il luogo di permanenza principale, della vita vera, quella di tutti i giorni. Quella che prevede un lavoro, una casa, e una routine a misura di comune individuo. Un esodo che anche l’apertura dei suddetti nuovi fronti non è sufficiente a osteggiare. 

Ed è così che assistiamo a una fuga apparentemente ineluttabile, dove tutti – ma proprio tutti – ambiscono a vedere, il più presto possibile, i contorni verdi blu del mare che lambiscono la costa da un oblò aereo. Non ci sarebbe niente di male, se poi queste persone avessero come progetto ultimo quello di ritornare. E invece, assistiamo da tempo a ritorni strategici di intellettuali e artisti che, nel periodo che va da maggio a settembre, varcano i confini dell’isola. Da maggio a settembre la Sardegna esplode, intellettualmente e artisticamente.  

È tutto un pullulare di festival, eventi e laboratori sensoriali. Sovente, tali festival (nello specifico quelli letterari e musicali) vedono alla direzione artistica nomi ritenuti pressoché insindacabili di personaggi che osservano la Sardegna da fuori, e la utilizzano come un grande laboratorio esperienziale all’aperto per realizzare idee nate durante i mesi freddi, a fianco a un termosifone dell’appartamento in periferia di città come Milano, Bologna o Roma. Grandi nomi, profeti in Patria per antonomasia, si accostano a un grande seguito: va da sé. Finanziamenti regionali consolidati e pubblico fedele che non vede l’ora di assistere ai mille eventi che costellano l’estate sarda. Finanche troppi eventi.

Orde di turisti spesso d’impronta alternativa, non si capisce più a cosa però, oltre al buon gusto e alla buona educazione, affollano manifestazioni organizzate nei luoghi più difficili da raggiungere: scalzi e vestiti con impostata sciatteria con l’intento primario di distendersi (e di sbragarsi). Ovunque. In cima alle montagne, sulla riva di fiumi e a ridosso di piscine naturali.

Tutti in preda alla vorace esigenza di rilassarsi, a tutti i costi e con ogni mezzo, per rifarsi la pelle spirituale tramortita da un anno di stress e ansie procurate dalla frenetica esistenza di tutti i giorni, contraddistinta dal rispetto dell’etichetta e delle elementari regole del civil vivere. Quella vita che hanno agognato quando vivevano qui in Sardegna, per quanto riguarda i sardi che tornano nella terra natale durante le ferie. Quella vita che tutti gli altri visitatori sognano di poter interrompere, almeno per poche settimane all’anno, con la speranza che basti a ristabilire ritmi ed equilibri più a misura d’uomo. Considerare la Sardegna meta ideale di vacanze e relax estivi, però, ha delle conseguenze, spesso sottovalutate.  

La maggior parte del pubblico che segue gli eventi più “in” in programma, abita in Sardegna tutto l’anno. La macchina burocratica e logistica necessaria a realizzarli è tenuta in moto da persone che lavorano e vivono in Sardegna tutto l’anno. Il luogo ideale delle vacanze degli altri, in sintesi, esiste di fatto grazie a chi, su quest’isola, ha deciso di vivere, nonostante le alternative possibili.  

E se gli artisti hanno i luoghi dove esibirsi, una volta rientrati per pochi giorni, è grazie a chi, quei luoghi, li ha fatti vivere anche nel periodo delle “vacche magre”. E grazie a chi, quelli spettacoli, è andato a seguirli tutto l’anno, ossia coloro che, questa terra, hanno deciso di viverla davvero, con i suoi pro e i suoi contro. E che, spesso, si sono sentiti ripetere, fino alla nausea, dai navigati esperti del mondo Off Sardinia, che avrebbero fatto meglio a lasciare tutto, ad abbandonare la baracca, a cercare di più: ma sempre e solo altrove. Questa narrazione comincia a stancare e ad ammorbare le orecchie di chi non solo non ha avuto la possibilità, né in passato e né oggi, di fare esperienze di studio/formazione/lavoro fuori, ma anche di chi, pur avendole fatte, vive per convinta scelta in uno dei 377 comuni che formano il tessuto sociale di quest’isola.  

Se tutti coloro che hanno un talento riconosciuto, una carriera di successo, un’affermazione professionale raggiunta, continuano a vivere fuori, per scelta, invece di portare – o riportare – il proprio bagaglio di esperienze a casa, cosa resta? Succede che la Sardegna si svuota progressivamente, con e senza effetto ciambella. Con le conseguenze che questo comporta. Non solo per quanto riguarda il carico umano che deve sopportare durante i mesi più caldi. Perché se è vero che il turismo di massa porta risorse economiche, è anche vero che, per soddisfare la voglia di relax di massa dei turisti agostani, occorrono braccia ed energie tese al massimo dello sforzo, per chi lavora soltanto tre mesi all’anno.  

Sarebbe auspicabile un riequilibrio di flussi umani, di offerte e di prospettive. Per far sì che le possibilità che vengono date ai soliti nomi siano invece alla portata di tutti gli operatori culturali, tutto l’anno. Per ottenere la giusta considerazione da parte della politica, anche, per chi queste strade le percorre anche con il vento e il freddo, trovando spesso delle buche che, magicamente, vengono tappate in prossimità della stagione, perché altrimenti “che brutto biglietto da visita sarebbe, per i turisti!”. Buche reali e buche metaforiche, per inteso. Per chi si è stancato di questa narrazione dominante che ci racconta perennemente dell’uno su mille che ce la fa/ce l’ha fatta/ce la potrebbe fare, andando fuori, e tralasciando i 999 che non hanno i riflettori puntati, ma che costituiscono il fulcro del tessuto urbano e sociale di quest’isola.  

 A tutto ciò, poi, si aggiunge la fatidica frase detta indistintamente da turisti e da ex residenti: “La Sardegna è bellissima, il mio sogno è di venirci/tornarci per la pensione!”. E così, ciò che si configura all’orizzonte non è solo una terra vuota, ma dove a perdersi incantati alla vista di tramonti e sterminate distese verdi, in cui saranno probabilmente visibili ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici e pale eoliche all’orizzonte, saranno soltanto pochi vecchi che, allungando lo sguardo in un afflato d’immensa malinconia, e constatando l’assenza di giovani, si ritroveranno immancabilmente a chiedersi: “Era davvero questo, l’unico scenario possibile per quest’isola?” 

Link

Un modo semplice a Villacidro – presentazione e dibattito sul tema della violenza sulle donne

Domani sarò a Villacidro a parlare del mio romanzo “Un modo semplice”. Oggi è la giornata internazionale per combattere la violenza sulle donne. Una giornata che serve per parlare di temi che necessitano di essere affrontati ogni giorno. Noi ne parleremo domani. Cercheremo di contribuire, attraverso la discussione, a capire le dinamiche di un fenomeno complesso. Partiremo dal romanzo, da una storia. Perché tutti i femminicidi partono da una storia: d’amore, di complicità, di affinità. Poi, qualcosa cambia.

Recensione sul sito “Sololibri.net”

Sul sito “Sololibri.net”, nella sezione “recensioni”, si parla di Un modo semplice

Un modo semplice di Daniela Piras

Talos, 2020 – Diario a due voci di Flavia e Manuel. Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

Un modo semplice (Talos, 2020) di Daniela Piras è il diario a due voci di Flavia e Manuel, due ragazzi che si incontrano ai tempi dei loro studi universitari nella città di Urbino, luogo che diventa coprotagonista della storia.

“E Urbino era così, la città ideale, la città ferma nel tempo, sempre uguale a se stessa, cristallizzata e perfetta”.

Tra Flavia e Manuel nasce subito un’amicizia e poi qualcosa di più, ma non si conoscono davvero.

“Avevamo due modi di vedere il mondo completamente diversi, e molto precari”.

“Non immaginavo cosa gli passasse realmente per la testa, all’epoca davo per scontate troppe cose, credevo che i miei pensieri e i suoi fossero gli stessi, che le parole fossero già diventate superflue, tra di noi”.

E così ben presto il rapporto si incrina, i due si allontanano. Ma Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

“Non era semplice, no, non era assolutamente semplice. Non avevo più il controllo su niente, il mondo sembrava essere andato avanti, così avanti da non poter più essere il mio, e io non mi sentivo più quello di prima. […] I miei neuroni erano completamente assenti, era come se avessi uno sciame di vespe in testa”.

E a Flavia non resta che trovare un modo per superare quello che è successo. Cerca di nasconderlo perfino a se stessa, di adattarsi, di andare avanti, nonostante il continuo stalking di Manuel.

“A volte penso di aver sognato, di aver costruito questo fatto con la forza della mia fantasia, tanto vorrei che davvero non fosse successo, poiché da allora niente fu più come prima. […] Io imparai a convivere con il tormento”.

Ma quello che succede inevitabilmente cambia le persone.

“Dalla mia vita era sparita la musica. […] Mi sentivo muta. Non avevo più niente da dire né da sentire”.

E così a entrambi non resta che cercare di darsi una spiegazione e di proseguire in qualche modo la loro vita, affrontando le fragilità che fanno parte di ciascuno e le azioni che per loro ne sono derivate.

Recensione a cura di Fabrizia Scorzoni

“Era lei a raccontarmi storie sempre diverse”, appuntamento con il Prefestival di Torre delle Storie

Il festival letterario “Torre delle Storie”, diretto da Matteo Porru, quest’anno giunto alla seconda edizione, prevede un‘importante novità: il prefestival, uno spazio dedicato a un tema centrale nella scrittura e nella narrativa sarda. L’incontro di quest’anno è incentrato sulla produzione femminile. Si intitola “Era lei a raccontarmi storie sempre diverse”, titolo che riprende una frase, non a caso, di una delle penne migliori del Novecento italiano, quella di Fernanda Pivano. Parteciperanno all’incontro Claudia Desogus (scrittrice), Chiara Miscali (semifinalista al Premio Campiello Giovani), Cecilia Parodi (scrittrice), Daniela Piras (giornalista e scrittrice), Alice Scalas Bianco (finalista al Premio Campiello Giovani) e Alessandra Sorcinelli (poetessa). L’appuntamento è online, martedì 20 luglio, alle 21, in diretta Facebook sulla pagina di Torre delle storie.

Il programma completo del Festival

JL

Il corridoio davanti a me è illuminato da una luce artificiale, a tratti troppo forte.
“Sarebbe bello poter tornare indietro”, medito, persa in mille pensieri. Ciò che è successo questa mattina mi sta pressoché ossessionando. Non so se ho fatto bene a reagire così a quella proposta; non so nemmeno se chi me l’ha fatta si sia reso conto di quello che avrebbe potuto significare, per me, in quel momento. A volte si parla troppo e senza pensare troppo. Eppure sarebbe così bello se tutti valutassero con accortezza l’opportunità di aprire bocca, di tastare l’atmosfera, di valutare i segnali tipici della comunicazione, anche non verbale. Ora, cosa possa aver fatto credere a Fabrizio che io avrei potuto anche solo prendere in considerazione una proposta di matrimonio, non mi è dato sapere. Il contratto vitalizio dei sentimenti. L’istituzione più obsoleta e sopravvalutata. La sua domanda era inopportuna, la mia risposta scontata. La reazione di Fabrizio, invece, piuttosto singolare. Ha preso il cofanetto ancora chiuso e si è ritratto, come colpito da una lancia. E io mi sono sentita tradita. Era un modo per avermi più vicina, ma è servito solo per allontanarmi definitivamente.
Mi fermo per cogliere l’offerta di un altro bicchiere d’acqua e continuo a osservare il corridoio. Pranzi pronti in confezioni sottovuoto iniziano a invadere gli spazi: verdure, carni, salse colorate, sapori e odori che mi portano alla mente la mensa scolastica della terza elementare. Ancora acqua. Comincio a essere insofferente, a non sopportare più le persone intorno a me. Le osservo da ore e potrei descrivere esattamente la curva dei loro capelli e il colorito della loro pelle. Parlano, sfogliano riviste, premono i bottoni posizionati di fronte a loro e ascoltano musica con gli auricolari.
Provo ad alzarmi, ma qualcosa mi trattiene, non ho più equilibrio e i timpani mi fanno male. Penso alla perdita della libertà, agli incubi che avevo da bambina, alla spiacevole sensazione di essere destinata a vivere tutte le situazioni peggiori che la vita può riservare.
Forse avrei dovuto essere più diplomatica, dire che ci avrei pensato su. Troppa sicurezza, a volte, non fa bene. Non mi sono presa nemmeno un minuto, non ho esitato un istante prima di rifiutare. Ecco cosa lo ha ferito di più: il fatto che io non abbia dimostrato di volerla prendere in considerazione, la sua proposta. In effetti, avrei potuto essere meno precipitosa, guardare dentro i suoi occhi e immaginarmi con un abito bianco, in mano un bouquet di fiori d’arancio, con tanta gente intorno che festeggia la mia conquista della felicità. Eterna. La purezza che mi acceca, le scarpe bianche con il tacco sottile. Antipasti, tartine, calici di vino sorseggiati con le braccia incrociate e i regali, le lacrime dei parenti, le amiche commosse, i cugini lontani che sussurrano «finalmente» a denti stretti. E i saluti a tutti, amici, parenti ritrovati, colleghi, ex colleghi, conoscenti e perfetti estranei che si accompagnano a loro, i loro auguri. Auguri di vedermi sempre così felice, così ben pettinata, così ben vestita, così radiosa. Chiudo gli occhi e vedo la torta nuziale, poi un forte botto mi scombussola la pancia. La cerimonia è finita.
Guardo l’orologio da polso. Le cinque. Il pollo con la salsa tailandese mi rigira nello stomaco. Mi addormento per la terza volta in poco tempo.
Mi risveglio con le labbra secche e cerco con lo sguardo la hostess addetta alla distribuzione dell’acqua. Sento i piedi pesanti e le gambe bloccate, l’insofferenza aumenta. Ho perso qualsiasi cognizione del tempo e dello spazio e la mia vita sembra così lontana. Cerco di riuscire ad affrontare tutto, ma non è semplice.
Mi viene in mente una cosa successa da ragazzina.

Avevo quattordici anni e mi trovavo da un parente, all’estero. Dormivo nella camera degli ospiti, una piccola stanza con il letto singolo, un armadio a due ante e una grande finestra che si apriva sui tetti a punta marroni. Ero solita lasciare la persiana della finestra sollevata per metà, in modo che nella stanza non ci fosse mai buio totale. Una notte, qualcuno, entrato prima di me, aveva abbassato del tutto la persiana. Non me ne accorsi subito perché ero andata a letto che era già notte. Mi addormentai e mi risvegliai dopo qualche ora, come al solito, per andare al bagno. Aprii gli occhi e non vidi nulla. Non riuscivo a focalizzare niente, ero immersa nel buio più totale. La finestra che di solito rischiarava la stanza sembrava scomparsa. Non c’era differenza tra tenere gli occhi chiusi o aperti. Una sensazione bruttissima. Cominciai a esplorare a memoria le pareti, alla ricerca dell’interruttore del lampadario, più le mie mani tastavano il muro, più l’angoscia cresceva. Non riuscivo a riconoscere le cose al tatto, non distinguevo un’anta dalla parete ruvida, la finestra da un quadro. L’interruttore sembrava introvabile. Un giro, due giri, tre giri, niente. Decisi allora di cercare direttamente la porta, ma non trovai neppure quella. Iniziai a sudare, in quell’agosto afoso, dentro quella stanza buia, persa completamente nella notte. Gli occhi totalmente inutili. Alla fine, credo per assoluta casualità, riuscii a trovare la maniglia e spinsi forte. Mi ritrovai nel corridoio che, seppur poco illuminato, permetteva ai miei occhi di percepire di nuovo le linee e le distanze.
La paura provata all’epoca torna immutata. Provo di nuovo ad alzarmi, ma senza successo. L’acqua che riesco a farmi dare questa volta è gassata ma sta perdendo l’effervescenza. Non riesco a capire come i miei vicini riescano a stare fermi, seduti, tranquilli e a chiacchierare come fossero seduti al tavolino di un bar, davanti a un tè.
Penso ai carcerati, alle loro giornate. Guardo di nuovo l’orologio, anche se mi rendo conto che è un gesto totalmente inutile. Mi riaddormento e mi risveglio dopo un tempo imprecisato. Mi guardo intorno, le persone vicino a me sembrano diverse. Una voce altisonante ci parla. Cerco di capire il significato di quell’annuncio ma troppe parole straniere mi sfuggono. Mi porto le mani alle orecchie e cerco di poggiarle come fossero conchiglie, ma il dolore ai timpani non cessa.
Mi torna in mente l’impossibilità di ritornare indietro nel tempo e, nello stesso momento, prendo coscienza della falsità di questo pensiero. Posso ancora cambiare idea, posso evitare di escludere a priori la proposta del contratto vitalizio dei sentimenti, posso ancora mettere in discussione tutto. In tutto questo tempo, sono stata cieca, sorda, immobile, stanca.
Mi rendo conto che tutto sta per finire quando torna il dolore al basso ventre, come un pugno. Mi piego e porto le mani sulla pancia. Il fastidio dopo qualche minuto passa e posso riprendere a respirare regolarmente. Sento l’aria artificiale che mi arriva dal bocchettone. Una voce, questa volta più chiara, ci comunica che non manca molto e capisco di avere un’altra possibilità. Passo da uno stato all’altro, dall’aria alla terra, in un attimo. Si accendono le luci rosse di divieto. “Vietato uscire”, “vietato alzarsi”, “vietato fumare”. Ma è quasi tutto finito. Ma il tempo è passato, o no?
Finalmente riusciamo ad alzarci tutti. Usciamo.
Una grande sala alla fine del corridoio. Il gelo che invade sin dentro le ossa. Una mattina gelida ci accoglie. Un grande orologio segna le dieci. È passato così poco tempo da quando ho incontrato Fabrizio? Non è successo niente di irrecuperabile, posso ancora cambiare il corso delle cose, posso dire di aver avuto il tempo di rifletterci. Potremmo chiamarlo destino, seconda possibilità, magia.
Ma è semplicemente il fuso orario, unito allo stordimento del jet lag.

JL di Daniela Piras
Racconto pubblicato sull’antologia “Racconti dalla Sardegna” (Historica Edizioni, 2018)

Lettera aperta ai miei concittadini sull’imminente appuntamento elettorale

Mancano un paio di mesi all’appuntamento elettorale che vedrà i cittadini di Tissi chiamati ad esprimersi per rinnovare il consiglio comunale. A così breve distanza non si assiste, però, ad un dibattito costruttivo sui progetti da realizzare nei prossimi cinque anni.
Mettendo da parte elenchi sterili su ciò che è stato fatto e su ciò che non è stato fatto dalle ultime giunte che si sono susseguite alla guida del paese, quello di cui si avverte l’assenza è una discussione sui temi, sulle idee e sulle proposte attraverso i quali ci si dovrebbe rivolgere ai cittadini.

Il volto di Tissi, negli ultimi tempi, si è molto modificato, da paese di poco più di 1300 abitanti è diventato un centro che ha visto incrementare il numero dei residenti di oltre mille persone. Un fatto in controtendenza con quello che, purtroppo, vediamo accadere nei piccoli centri che hanno una maggiore distanza da Sassari, i quali assistono a un progressivo spopolamento.

Questo incremento di abitanti del paese, però, è quasi impercettibile. Interi complessi residenziali sono abitati da persone che, trasferitesi principalmente dalla città di Sassari, invogliati dai prezzi delle abitazioni più accessibili, non frequentano minimamente il paese, limitandosi a dormirci, fenomeno che sta progressivamente trasformando Tissi in una periferia della città di Sassari. Il paese, parallelamente, appare svuotato e smorto: le vie del centro sempre meno vissute, il senso di comunità che va sparendo.

Considerando quindi il cambiamento avvenuto alla composizione della nostra comunità, bisognerebbe far fronte a due questioni fondamentali: la prima è rilevare che le esigenze del paese sono diverse da quelle del passato, la seconda è domandarsi se gli amministratori degli ultimi anni siano riusciti a conciliare i bisogni di tutti i cittadini (vecchi e nuovi) e di gestire al meglio questa nuova situazione.

Partendo dal presupposto che la crescita demografica è comunque una risorsa economica e che la vicinanza a Sassari è, di per sé, un punto di forza, ciò che bisogna scongiurare è che Tissi diventi un quartiere dormitorio di Sassari. Io sono convinta che questo non sia già avvenuto e che, se si agisce in maniera drastica su alcune criticità, il peggio possa ancora scongiurarsi.

I miei ricordi di Tissi, risalenti alla metà degli anni ’80, mi rimandano l’immagine di un paese pieno di vita. Le domeniche mattina la gente passeggiava al centro, andava a fare colazione nei bar che, in occasione della giornata di festa, si rifornivano di cornetti e pasticcini. Dopo la messa di metà mattina, giovani e meno giovani si sedevano nello storico “muraglione” a ridosso del belvedere a chiacchierare. Le sere d’estate le persone riempivano le vie del centro sino ad arrivare all’allora poco illuminata fine di via Brigata Sassari, quella che portava all’uscita del paese e alla zona che veniva chiamata “delle ville”, ovvero le prime singole costruzioni al di fuori del centro.

Un altro ricordo appartiene al lunedì mattina e riguarda il bellissimo mercatino che vedeva la presenza di bancarelle di ogni sorta, il quale si estendeva dalla piazza Municipale fino alla parte alta della stessa via. Può darsi si vendessero anche patacche, ma quello che lo rendeva “bellissimo” era la presenza della gente, le chiacchiere, gli incontri, in poche parole la socialità che ci stava dietro. Un altro bel ricordo è quello che riguarda l’aria che respiravo quando, per qualche motivo, la mattina non mi trovavo a scuola: via Roma era un viavai di persone, le attività apparivano fiorenti, il negozio principale, quello di “Zia Angelica” era un punto cruciale, si respirava un’aria di casa, oggi definirei quella sensazione un “collante sociale”. Sicuramente la vita non era perfetta e facile nemmeno allora, anche se la crisi economica era qualcosa di distante; era chiaro che chi voleva fare qualcosa la faceva, chi voleva restare in paese lo faceva e, a partire alla ricerca di qualcos’altro, erano per lo più ragazzi giovani che volevano fare esperienze fuori dalla Sardegna, e si trattava di una scelta.

Le cose cambiano ovunque e questo è normale però ancora oggi, come ieri, sappiamo che la forza di Tissi è sempre stata quella di saper mantenere le peculiarità della piccola comunità, unendole al vantaggio di avere la grande città a fianco, a uno schiocco di chilometri; in questo è stata una vera opera rivoluzionaria la costruzione della “strada nuova” e del ponte che ci ha permesso di accorciare in maniera drastica il tempo di percorrenza della tratta Tissi-Sassari, rendendo la vecchia strada che attraversava la frazione di Caniga, con le sue curve e il suo passaggio a livello, in breve tempo, solo un ricordo.

Vorrei offrire, con queste poche righe, degli spunti di riflessione che trovano sbocco in alcune proposte che mi piacerebbe vedere fra quelle dei candidati al consiglio comunale del paese:

Partirei dalla rivitalizzazione del tessuto commerciale del centro con l’introduzione di incentivi che favoriscano l’apertura di nuove attività.

Ritengo essenziale che ci si preoccupi di rispettare i luoghi che appartengono a tutti, e per rispetto intendo la salvaguardia e la valorizzazione dello scopo per il quale sono nati, come ad esempio la sala del museo etnografico inserita nel complesso dell’ex mattatoio. Allo stesso modo sarebbe auspicabile assistere alla riqualificazione di locali che hanno avuto un’importanza strategica nel passato e che oggi meriterebbero di essere riutilizzati in un’ottica di affermazione culturale e di sviluppo socio economico del paese. Tra i monumenti da valorizzare non può essere escluso il lavatoio storico, risalente al 1905, il quale si presta ad essere un luogo ideale in cui organizzare eventi culturali di alto spessore qualitativo e dibattiti di vario genere. I luoghi storici vivono e continuano ad esistere se vengono messi al centro delle persone, e non relegati negli angoli.

Per quel che concerne la struttura urbanistica, penso sia essenziale per il decoro del paese che le vecchie case, che oggi appaiono completamente abbandonate, nelle vie parallele a via Roma (la via principale) vadano risistemate o messe in vendita con bando pubblico a prezzi competitivi, cercando di trovare le risorse affinché si proceda ad una reale riqualificazione del tessuto urbano.

Considerando l’importanza del territorio sul quale è nato Tissi, credo sia imprescindibile agire in modo tale da riconoscere il valore del suo patrimonio archeologico e storico. L’ipogeo de “Sas Puntas”, uno dei più importanti ipogei di Età Nuragica della Sardegna, è attualmente abbandonato, nascosto da erbacce, al punto tale che, ancora oggi, molti cittadini di Tissi ne ignorano l’esistenza. Il sito andrebbe pulito e reso facilmente accessibile. L’ideale sarebbe seguire gli esempi di quei comuni che, scegliendo di puntare sul loro patrimonio storico, hanno costituito cooperative che si occupano di gestire e curare i siti archeologici, dotandoli di percorsi storici, cartellonistica e guide turistiche. Questo rappresenterebbe un’importante opportunità di lavoro, in una prospettiva di sviluppo economico legata all’archeologia, alla storia e alle identità del paese che, di fatto, è un piccolo museo a cielo aperto grazie anche alla presenza delle due chiese di età medievale, la Chiesa di Santa Anastasia e quella di Santa Vittoria, le quali risalgono al XII secolo. Grazie a questi monumenti, in passato, Tissi è stato scelto dal grande regista Mario Monicelli che, nel 1954, ha deciso di ambientare in paese il suo film “Proibito”, tratto dal romanzo “La Madre” di Grazia Deledda, che vantava nel cast la presenza di attori del calibro di Amedeo Nazzari, Lea Massari, Henry Vilbert, Paolo Ferrara e Mel Ferrer.  Le due chiese dovrebbero essere accessibili e visitabili, e bisognerebbe riuscire a sfruttare anche i punti che si prestano per realizzare riprese fotografiche e pittoriche.
Tornando al presente, se non si può certo negare che negli ultimi anni Tissi si sia distinto dal punto di vista culturale, è pur vero che non si può non notare la mancanza di una adeguata programmazione. Ad esempio, abbiamo una efficiente biblioteca, che andrebbe sicuramente messa nelle condizioni di disporre di maggiori risorse.
Credo che in paese manchi una visione di insieme della cultura che partendo dalle sagre, passando per la promozione di eventi culturali, arrivi a rilanciare le iniziative ella Proloco (al momento inattiva) in coordinamento con le altre associazioni presenti, come quella della consulta giovanile. Il tutto finalizzato alla realizzazione di idee che aiutino a riscoprire i nostri costumi e a valorizzare le nostre peculiarità.
Il fatto che Tissi non sia un quartiere dormitorio di Sassari è evidente anche da piccole constatazioni, per esempio vedere dei giovani giocare a “sa murra” nelle piazze o parlare in sardo non è così raro. A questi ragazzi si dovrebbero offrire dei punti di riferimento che gli permettano di acquisire maggiore consapevolezza della propria identità. A tal fine ritengo essenziale ripristinare lo sportello linguistico, attivo nel 2008, la cui esperienza è finita troppo presto nel dimenticatoio. Il nostro paese non è estraneo a quello che è il grande dibattito sulla lingua sarda. Di pari passo si dovrebbe cercare di promuovere i nostri artisti, i nostri poeti, i nostri pittori, in un’ottica di rilancio economico del paese, perché la cultura va a braccetto con la ricchezza, non solo intellettuale.
In virtù di quanto esposto, credo che Tissi possa ambire ad affermarsi come uno dei paesi guida del sistema Coros Figulinas, pianificando lo sviluppo del territorio insieme a paesi che distano pochi chilometri fra loro.

In conclusione, in un paese di 2300 abitanti, bisognerebbe cercare di rendere tutti partecipi di una idea di comunità affinché il paese venga vissuto in pieno e sentito come “proprio”. La programmazione dei prossimi cinque anni dovrebbe essere costruita sui reali bisogni della popolazione, ascoltando con attenzione quelli che sono i problemi dei suoi abitanti.

L’auspicio, per me che ho deciso di guardare queste elezioni dall’esterno e di provare comunque a dare un mio contributo attraverso queste poche righe, è quello di non assistere ad una campagna elettorale che abbia come tema la capacità dei candidati di riuscire a racimolare voti o di avere come unica motivazione quella di portare avanti una protesta fine a se stessa, senza aver ben chiaro un progetto alternativo.

La raccolta di questi suggerimenti implica, in automatico, non di fare un copia e incolla tra le pagine di un programma elettorale, ma che si riesca a dar vita ad un confronto in un dibattito da mettere in piedi con i cittadini, cosa imprescindibile anche in campagna elettorale.

Tutti dovrebbero avere la possibilità di esprimere, durante un confronto, qual è la loro idea di paese, perché le idee non devono avere paura di essere espresse. Le idee non costituiscono che un punto di partenza, e hanno senso solo se accompagnate dalla capacità di realizzarle.

Tissi, 3 aprile 2017


Gente normale in assurde vicende

Lunedì, 4 aprile 2016
LA NUOVA SARDEGNA
Gente normale in assurde vicende

In tempi di crisi, quando le certezze che si pensavano acquisite vacillano, può capitare di perdere la bussola e scoprirsi a compiere azioni o a vivere situazioni assurde che, in altri momenti, si giudicherebbero impensabili. È quanto accade ai personaggi di questi undici racconti (tutti ambientati a Sassari, a parte uno ad Alghero): tipi normali che, dato lo stato di necessità o fragilità, diventano protagonisti di vicende bizzarre, o che vedono la realtà trasfigurarsi sotto ai loro occhi, prendendo le forme del grottesco (come accade ai condomini de “L’Appeso”). Talvolta, finiscono per essere coinvolti nel caos generale anche degli insospettabili: come suor Francesca, ad esempio, religiosa interessata in maniera un po’ troppo sollecita alla cura dei beni terreni di una parrocchiana moribonda.

Crash, di Daniela Piras, Del Bucchia Editore

128 pagine, 12,50 euro

Tissi: Presentazione "Crash", racconti di Daniela Piras

Presentazione “Crash”
Racconti
di Daniela Piras 

Marco Del Bucchia Editore
www.delbucchia.it

Biblioteca Comunale Tissi, via Dante 3, h. 18.30


“Tutta colpa della crisi” si sente dire quando avvengono fatti insoliti o episodi tragicomici. E in questi anni, in cui la crisi è sempre più presente, in suo nome si è arrivati a giustificare gesti bizzarri quasi al limite dell’assurdo. Una sola speranza, la stessa che hanno i protagonisti delle undici storie narrate in questo libro: che finisca al più presto.

Dialogherà con l’autrice Mario Borghi, lit-blogger.

Crash

Crash
di Daniela Piras


Collana Vianesca/Poesia e narrativa
Marco Del Bucchia Editore

“Tutta colpa della crisi” si sente dire quando avvengono fatti insoliti o episodi tragicomici. E in questi anni, in cui la crisi è sempre piú presente, in suo nome si è arrivati a giustificare gesti bizzarri quasi al limite dell’assurdo. Una sola speranza, la stessa che hanno i protagonisti delle undici storie narrate in questo libro: che finisca al piú presto.

Puoi acquistare il libro in libreria o, in alternativa, ordinare la tua copia dal sito dell’Editore Marco Del Bucchia

Copertina di Tommaso Jardella (Pittore e scultore)