Le biblioteche in Sardegna e le biblioteche in America. Due mondi.

di Daniela Piras

Prendendo spunto da un interessante articolo apparso questa estate sul sito http://www.laricerca.loescher.it, firmato dalla dottoressa Francesca Nicola, volevo tornare sul tema delle biblioteche comunali e sulla loro funzione.

Nell’articolo si parla della rinascita di cui sono protagoniste le biblioteche nella città di New York e, in generale, in tutte le città statunitensi: aumento delle ore di apertura con relativa assunzione di personale, espansione del catalogo dei servizi offerti, aggiunta di servizi di consulenza lavorativa, classi di programmazione informatica, corsi di meditazione, consulenze su come pianificare la propria carriera e perfino lezioni per imparare a lavorare a maglia. Le biblioteche americane sono state capaci di reinventarsi, diventando veri e propri centri di aggregazione e mirando a offrire qualcosa a tutti i cittadini. Non solo deposito di libri, quindi.

L’articolo continua soffermandosi sul ruolo sociale fondamentale assunto dalle biblioteche, parlando della creazione di librerie satellite nelle scuole, in centri per anziani, nei rifugi dei senzatetto e persino nelle carceri. Il tutto per promuovere l’alfabetizzazione e portare i libri, tecnologia e altri servizi a tutti coloro che, per varie ragioni, non sono in grado di recarsi di persona nelle biblioteche.

Corsi di navigazione on line, iscrizione a corsi di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica per bambini che non possono permettersi di frequentare i campi estivi. Il supporto nella compilazione di domande di assistenza sociale, la messa a disposizione di uno studio di registrazione a costo zero, corsi di cucito in bengali offerti alle donne del Bangladesh che riescono a trasformare le competenze acquisite in lavoro. Interessante l’esempio legato alla storia di un giovane “homeless” che, frequentando la biblioteca di Arverne, è stato aiutato dal personale a studiare per diventare una guardia di sicurezza, finendo con l’essere assunto dalla stessa biblioteca.

Sui bambini, l’antropologa continua:
«Le biblioteche americane si sono reinventate soprattutto perché hanno puntato sui più piccoli, mettendo a punto programmi di alfabetizzazione precoce finalizzati a preparare i bambini per la scuola. Lo dimostrano i passeggini parcheggiati in doppia e tripla fila davanti alla Fort Washington Library dell’Upper Manhattan o le lunghissime file di genitori e bambini davanti alle biblioteche del Bronx. Qualcuno inevitabilmente rimane fuori, perché non c’è abbastanza spazio per ospitare tutti i bambini che si presentano.»; «Per molti genitori le biblioteche sono anche, più semplicemente, un luogo sicuro dove fare giocare i propri figli.»
Sono dell’idea che tutto ciò che è positivo e che si può esportare sia un bene. Tutto questo tenendo sempre presente i diversi contesti e le enormi differenze che esistono tra i nostri paesini, qui in Sardegna, e le città statunitensi. È facile capire che, in città metropolitane, il ruolo chiave della biblioteca come spazio sociale, sicuro, di supporto, di aiuto ai senzatetto è differente da quello che si può avere qui; ruolo che deve partire dalla conoscenza e dalla capacità di rispondere a quelle che sono le necessità delle nostre piccole comunità.

Nei differenti contesti, bisogna tenere conto che l’obiettivo delle biblioteche americane di porsi come punto di riferimento è anche quello di sottrarre i giovani al fenomeno delle Gangs organizzate il quale, per quanto ridimensionato rispetto agli anni 80 e 90, è ancora molto presente in determinate città, con milioni di abitanti, dove è difficile trovare dei riferimenti ideali, culturali e sociali, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione e per le minoranze etniche e gli immigrati, relegati spesso ai margini della comunità.

I senzatetto, dalle nostre parti, hanno strutture come la Caritas e altri centri che si occupano di mettere a disposizione strutture di “accoglienza temporanea”, dove poter mangiare qualcosa di caldo e fare una doccia. I bambini, nei nostri piccoli centri, per fortuna possono permettersi ancora di giocare in luoghi “sicuri”, al massimo vengono sgridati per qualche vetro rotto provocato da qualche pallonata, ma in linea di massima i bambini, qui, frequentano le biblioteche perché hanno il piacere di stare insieme ai coetanei, e fanno della biblioteca uno dei primi punti di ritrovo.

Oggi, le biblioteche, per diversi addetti al settore, in generale, sarebbero ben lontane da ciò che erano nel passato. Oggi sono un luogo di incontro e di accesso all’informazione, dalla forte valenza sociale, di aggregazione e condivisione di saperi, corsi di uncinetto, di cucina, laboratori di manualità per bambini, creazione di oggetti con materiale di riciclo e simili. In questo rinnovato contesto, le presentazione di libri e gli incontri con autori non sarebbero più al centro ma semplici opzioni che i bibliotecari sono liberi di considerare o meno. Del resto, pare che in giro ci siano eserciti di scrittori che scalpitano per presentare il proprio testo e, considerando i vari appuntamenti organizzati nelle biblioteche elencati qui sopra, non c’è proprio lo spazio e il tempo per approfondire un discorso legato ai libri, alla lettura e simili. Sembra che i frequentatori delle biblioteche non siano così interessati a questo genere di eventi, e che di conseguenza non sia il caso di insistere nel proporre incontri di questo tipo.

Riguardo questo tipo di visione, il mio pensiero è che sia un bene che le attività della biblioteca negli anni si siano ampliate e che sicuramente una diversificazione nell’offerta non può che essere un fatto positivo, sempre che non si perda di vista l’attività centrale. Ben vengano attività collaterali, di socializzazione, ma resto ferma nel pensare che il 99% delle persone alla parola “Biblioteca” associa la parola “Libro” e non “Uncinetto”.  Va bene la diversificazione, certo, ma senza perdere di vista il “prodotto” principale. Per fare un parallelismo con altri settori, giusto per fare un esempio, in una società dove tutti fanno tutto, sembra quasi normale andare in un ufficio postale o in una banca e poter acquistare telefonini, frullatori o persino case; spesso, però, questo va a intaccare la qualità del servizio principale proposto.

Cosa dire riguardo alle orde di scrittori che scalpitano davanti alle porte delle biblioteche comunali per presentare la propria opera? Mi pare palesemente irrealistico pensare che la loro presenza sia così prorompente da togliere spazio ad ulteriori attività proposte dalle biblioteche.

Tornando all’articolo sulle biblioteche americane, la fila lì davanti c’è per davvero, ma è quella di genitori e bambini che abitano nel Bronx. Qualora ci fossero anche qui le code, però, non sarebbe magnifico incontrare dall’altra parte amministratori disposti a concedere gli spazi pubblici per permettere a tutti di esprimere la propria creatività intellettuale?

Restando sul ruolo svolto dalla biblioteca comunale, io sono dell’idea che un bibliotecario dovrebbe insistere nel promuovere iniziative come presentazione di libri, incontri con giornalisti, sociologi, attori e artisti ecc. Perché? Perché il prodotto principale delle biblioteche (attività collaterali a parte) è costituito dai libri e perciò sarebbe auspicabile che i bibliotecari puntassero e perseverassero proprio per far sì di incentivare la cultura, la lettura, la socializzazione e il confronto, tra l’altro in una terra come la Sardegna dove la dispersione scolastica è altissima, dove i giovani emigrano all’estero in numero spropositato e dove le biblioteche dovrebbero ambire a rivestire un ruolo centrale nella divulgazione della cultura.

Le biblioteche in Sardegna e le biblioteche in America. Due mondi. Luogo strategico di supporto polifunzionale in America e luogo che dovrebbe ambire a diventare il catalizzatore, qui in Sardegna, delle energie intellettuali di tutta la comunità, offrendo servizi e spazi. E di spazio, in questa isola, ce ne davvero tanto, per tutti.

Si possono avere mille visioni di come possa essere gestita l’attività di una biblioteca e il tema è quanto mai attuale. Sarebbe interessante affrontarlo attraverso un confronto sul tema “Editoria, libreria e biblioteche” che sicuramente potrebbe essere di stimolo per la crescita delle nostre comunità e dell’offerta stessa del circuito bibliotecario.

Il salotto della lettura: la biblioteca comunale

di Daniela Piras

La promozione del proprio libro è cosa fondamentale. Questo è l’ABC di ogni autore che vede pubblicata la propria opera. La pubblicità è l’anima del commercio e la promozione del proprio libro non è esonerata da questo circuito. Questo il motivo che mi ha portato, dopo la pubblicazione, ad organizzare alcuni eventi di promozione del mio libro, entrando in contatto con comuni, librerie e con le biblioteche che sono, a mio avviso, le cellule vitali della cultura nei paesi. Decido allora di contattare tramite e-mail alcune delle tante biblioteche della nostra regione, presentandomi e allegando alcuni link dove gli addetti ai lavori potessero farsi un’idea di me e del libro. In questo viaggio virtuale tra le varie biblioteche di Sardegna ho avuto diversi riscontri, alcuni molto positivi e altri un po’ meno.

In primis ci sono viaggi che sono rimasti “virtuali”, nel senso che molti operatori delle biblioteche non hanno mai risposto. Alcuni hanno risposto che “non organizzavano eventi di questo tipo”, cioè che non organizzavano presentazioni di libri e qui, senza fare polemica, mi è venuta spontanea una domanda: Cos’altro si può organizzare in uno spazio di pubblica lettura? In mezzo a scaffali di libri mi sembrava la cosa più naturale del mondo organizzare eventi culturali con il libro al centro. Invece scopro che non è così, che diverse biblioteche organizzano laboratori per bambini, cioè disegni, pitture, plastiline. E io che pensavo che per certe cose ci fossero le ludoteche. Non si smette mai di imparare. Alcuni responsabili hanno risposto dicendo che, visto l’esiguo numero di partecipanti a delle iniziative passate, non avevano intenzione di dare spazio ad altri autori. Per quanto io possa capire la frustrazione nel vedere che un evento organizzato sia stato un flop in termini di presenze, non credo che sia il modo migliore di reagire, quello di non organizzare eventi per paura che la gente non partecipi. Della serie “Non faccio così sono sicuro di non sbagliare”. Tutte posizioni legittime e comprensibili, in ogni caso.

Poi, quando pensavo di aver capito il funzionamento degli eventi nelle biblioteche, arriva lei: l’e-mail di risposta per eccellenza, quella che ti fa mettere in discussione proprio tutto.

Ve la inoltro omettendo per riservatezza il nome del comune che ho reso noto al responsabile del sistema bibliotecario.

«Buongiorno Daniela,
chiedo scusa per il notevole ritardo con cui rispondo a questa proposta.
Il pessimo collegamento alla rete, ha reso il lavoro degli ultimi 3 mesi piuttosto problematico.
La ringrazio per aver voluto inserire anche la piccola comunità di  XXXX  fra i luoghi per promuovere il suo libro.
Di solito, nel corso degli anni, abbiamo ospitato autori conosciuti, mediamente conosciuti ed anche poco conosciuti.
Considerando però, in alcuni casi, il risultato in termini di presenze, gli amministratori per l’anno 2015  hanno preferito non promuovere incontri con gli autori.
Quest’anno invece, hanno accolto le proposte inviateci dalla libreria di riferimento della biblioteca, con una serie di nomi di autori che hanno ritenuto “piuttosto noti”, ed hanno deciso di proporli ai concittadini.
Questa era infatti la condizione, che gli autori fossero “piuttosto noti”.
Al momento la politica da seguire è quindi questa, se, in futuro si deciderà di promuovere incontri anche con nuovi autori da poter conoscere, sarà un piacere per noi, proporre la sua pubblicazione
La saluto e le auguro buon lavoro»

Preciso che leggo l’e-mail due volte di fila perché davvero credo di aver capito male e di aver frainteso alcuni passi. Per correttezza preciso che la mia prima e-mail risale a metà giugno e che a fine luglio non avevo ancora ricevuto risposta. Trattandosi di un paesino piuttosto piccolo credevo non avessero risposto perché non interessati ad organizzare presentazioni, e che il silenzio fosse da tradurre come un cordiale diniego. Succede però qualcosa: navigando su Facebook, uno scrittore che ho tra i contatti mi invita alla presentazione del suo ultimo libro, che si tiene proprio nella biblioteca del piccolo paese.

Entro allora nella pagina Facebook della biblioteca che pubblicizza l’incontro con l’autore e, pensando che la mia e-mail fosse finita per errore nella cartella dello spam, cosa che può capitare, decido di scrivere sotto la locandina dell’evento, avvisando di avere inviato una e-mail alla loro casella di posta tempo addietro e, contemporaneamente, per accorciare i tempi, scrivo un messaggio privato nell’account Facebook della biblioteca dove preciso, entusiasta: “vedo che siete attivi sul fronte dell’organizzazione di eventi con gli autori”. Nessuna risposta. Fino ad oggi.

Mi si chiede scusa per il grande ritardo con cui mi si risponde a causa del “pessimo collegamento con la rete”, mi si dice che negli anni scorsi la biblioteca del piccolo comune ha ospitato diversi autori: conosciuti, mediamente conosciuti e anche poco conosciuti.

Perfetto – penso – sono aperti a tutte le possibilità!

Poi l’e-mail cambia tono, si precisa che “in alcuni casi, considerando il risultato in termini di presenze, gli amministratori hanno preferito non promuovere incontri con gli autori per l’anno 2015”.

Continua: quest’anno invece, gli amministratori hanno accolto le proposte inviateci dalla libreria di riferimento della biblioteca, con una serie di nomi di autori che hanno ritenuto “piuttosto noti” ed hanno deciso di proporli ai cittadini.

Comincio ad avere qualche leggera perplessità. La prima è che la programmazione culturale della biblioteca sia affidata a degli “amministratori”. La seconda è che la biblioteca comunale abbia una LIBRERIA DI RIFERIMENTO. Ma non dovrebbe essere, una biblioteca comunale, uno spazio di cultura indipendente, aperto ai cittadini e, soprattutto, DEI cittadini? I responsabili non dovrebbero invogliare le persone, soprattutto di un piccolo paese, a frequentare il centro, a prendere dei libri in prestito e fare in modo che la biblioteca diventi il salotto della lettura di tutti gli abitanti? Cosa vuol dire che esiste una libreria di riferimento che passa dei nomi di alcuni “noti”? C’è forse bisogno di un lasciapassare? La libreria è un’attività economica e, giustamente, punterà sui libri che, secondo il titolare, sono più semplici da vendere. Devo quindi arrivare alla logica sequenza secondo cui una libreria, cioè un ente privato, utilizzi uno spazio pubblico, uno spazio della collettività che vive grazie alle tasse pagate dai cittadini, per pubblicizzare e, di conseguenza, vendere un proprio “Prodotto di punta”? Chi mi garantisce che gli utenti della biblioteca gradiscano di più assistere a presentazioni di autori “piuttosto noti” rispetto ad un autore locale? Non dovrebbero, i responsabili di una biblioteca, disporre di una piena autonomia professionale (così come indicato nella carta dei servizi del sistema bibliotecario) e, di conseguenza, decisionale, e considerare anche i temi trattati nei libri che decidono (e non che “acconsentono passivamente”?) di presentare? I bibliotecari non dovrebbero valutare cosa può interessare alla comunità nella quale sono integrati, e che di conseguenza dovrebbero conoscere, e cosa meno?

Come si evince dalla Dichiarazione sulle biblioteche e sulla libertà intellettuale dell’IFLA/FAIFE dove si elencano i principi a cui il sistema bibliotecario si attiene:

«Le biblioteche hanno la responsabilità sia di garantire sia di facilitare l’accesso alle espressioni della conoscenza e dell’attività intellettuale. A tal fine, le biblioteche dovranno acquisire, conservare e rendere disponibile la più ampia varietà di materiali, riflettendo la pluralità e la diversità della società».

E, ancora: «Le biblioteche devono garantire che la selezione e la disponibilità dei materiali e dei servizi bibliotecari siano dettate da considerazioni professionali e non da ottiche politiche, morali o religiose».

La Dichiarazione sulle biblioteche e sulla libertà intellettuale dice, inoltre, che: «Le biblioteche finanziate da fonti pubbliche, alle quali il pubblico ha accesso, devono incoraggiare i principi della libertà intellettuale».

Altro punto è questo: «I bibliotecari e gli altri impiegati in queste biblioteche hanno il dovere di incoraggiare questi principi».

Il sistema bibliotecario (di cui fa parte la biblioteca in questione) aderisce anche al Manifesto UNESCO per le biblioteche pubbliche che sottolinea l’importanza dell’indipendenza dell’apparato bibliotecario:

«La biblioteca pubblica, via di accesso locale alla conoscenza, costituisce una condizione essenziale per l’apprendimento permanente, l’indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali.» Ancora sulla diversità dell’offerta: «La biblioteca pubblica è il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione.»

Tra i compiti elencati nel Manifesto Unesco c’è quello di “dare accesso alle espressioni culturali di tutte le arti rappresentabili”.

Perciò, in barba a tutti i principi elencati, l’e-mail continua, informandomi che “La politica da seguire è quindi questa” (cioè quella che gli autori siano “piuttosto noti”) e che, di conseguenza, non c’è la possibilità di ospitarmi nei loro spazi.

Mi si lascia però uno spiraglio aperto perché, si precisa, se in futuro si deciderà di promuovere incontri anche con nuovi autori da poter conoscere, sarà un piacere, per loro, proporre la mia pubblicazione.

Leggo parole come “Politica da seguire” e rabbrividisco. Che cosa vuol dire? Politica, amministratori, librai che hanno la lista dei papabili autori noti…. Alla faccia della libera cultura e della libertà intellettuale.

Quello che volevo sottolineare è l’ingerenza di una struttura commerciale esterna a cui viene riconosciuto pieno potere decisionale. E tutti i principi di cui sopra? E soprattutto, alla luce di quanto emerso, mi chiedo che senso abbia il ruolo del bibliotecario in una struttura dove le scelte vengono prese dalle amministrazioni e da enti esterni. Credo sia importante che queste strutture pubbliche non vengano meno al ruolo per cui sono state create, e non vorrei che un autore/autrice si vedesse negare la possibilità di far conoscere le sue opere solo perché non ancora “noto”. Ripeto, stiamo parlando di una biblioteca comunale, non di una trasmissione televisiva. Ricercare l’audience all’interno di spazi pubblici credo non sia una cosa tanto logica e credo che la funzione dei responsabili delle biblioteche sia tutt’altro, ossia non venire meno ai principi esposti. L’ottica con cui si opera dovrebbe essere quindi il più inclusiva possibile, senza censure né pressioni da enti esterni, anche se indicati come “riferimenti”.

L’arte di raccontare storie e di renderle credibili.

di Daniela Piras

Questo il concetto all’origine del Fàula Festival che, giocando sul gioco di parole: fabula, fàula, fàvola, ha dato origine ad un Festival che si è svolto a Tissi il quattro giugno e della cui organizzazione ho fatto parte.

L’idea era quella di raccontare storie e di mettere alla prova gli studenti della scuola elementare e della scuola media di Tissi, chiedendo di realizzare uno scritto che avesse come tema centrale la bugia. Abbiamo cercato di condensare, in una giornata, un insieme di spettacoli che avessero come matrice comune quella di raccontare storie.

Dei tissesi si dice che siano bugiardi, è un detto che si tramanda da anni e di cui si sono perse le origini.

L’intuizione di partire da questo e di imbastirci un’intera manifestazione attorno parte da Antonio Locci, tissese con la passione per la musica e per l’arte in genere.

Non solo i tissesi hanno un “timbro”: degli abitanti di Usini, per esempio, si dice (più o meno scherzosamente) che siano ubriaconi e degli abitanti di Ossi che siano “giogalzu”, cioè abili cercatori di lumache. Le origini di questi ultimi due detti sono abbastanza chiare: a Usini c’è una forte cultura del vino e in paese sono presenti note aziende vinicole; a Ossi, invece, il ricavato ottenuto dalla vendita delle lumache è stato, per tanto tempo, un aiuto prezioso e una valida integrazione economica.

A Tissi il detto è, se vogliamo, più poetico. È risaputo che il paese vanta una grande tradizione poetica, nomi come Bartolomeo Serra, Andrea Mulas, Pietro Cherchi ma anche scrittrici come Mena Branca, per fare qualche esempio. La tradizione non si è persa nel corso degli anni e anche oggi ci sono diversi compositori in paese: Gigi Sancis, Rosalia Beccu (nota Lia), Egidio Cassanu, Pietro Nieddu, Anselmo Serra e Pietro Manconi.

Nel corso delle interviste che abbiamo fatto in giro per il paese per realizzare un documentario- testimonianza siamo venuti a sapere delle cose molto interessanti. Una di queste mi ha particolarmente colpito: ci hanno raccontato che i tissesi in tempi passati venivano bonariamente canzonati perché, pur non vivendo in mezzo al lusso, si atteggiavano in maniera tale da apparire ricchi, arrivando a noleggiare degli abiti in occasioni speciali e ovviamente omettendo di svelare la loro provenienza. Questa trasformazione della realtà, anche se solo esterna, svela una creatività e una capacità di reazione non comune. Ed è questa la base delle leggendarie bugie del paese, la voglia di abbellire, di esaltare, di amplificare un semplice fatto e di renderlo poetico, interessante, degno di nota.



Il concorso di scrittura creativa che ha visto come protagonisti gli studenti delle scuole, denominato “Malafaula” ha portato alla luce dei testi davvero belli, originali e ironici. Non ci aspettavamo tanto, credo. I racconti erano scritti davvero bene, ben articolati e con una grande attinenza al tema proposto. Le letture dei testi sono state abbinate, in diversi casi, a una piccola rappresentazione teatrale in cui i bambini hanno interpretato i personaggi delle loro storie.  

La qualità delle storie partecipanti al concorso era alta. Alcune storie avevano titoli in lingua sarda, così come diversi dialoghi. Un chiaro segnale di quanto l’importanza della nostra lingua e la riscoperta della nostra identità culturale passi soprattutto nel suo effettivo utilizzo. Sentire bambini di dieci, dodici anni che parlavano così bene il sardo mi ha reso molto ottimista per quel che riguarda la conservazione e la vitalità della nostra lingua.

La giornata è continuata dopo la premiazione dei racconti vincenti (sono contenta di non essere stata parte della giuria perché il loro compito è stato davvero difficile!) con la proiezione del documentario e poi con la presentazione del libro “Uno sputo di cielo”, una raccolta curata da Carlo Deffenu che vede la presenza di ventisette racconti e conseguenti illustrazioni fotografiche/artistiche. Un progetto molto interessante che vede il ricavato delle vendite del libro finire in beneficienza, per aiutare i bambini di un orfanotrofio di Betlemme.

La compagnia teatrale Lampos e tronos ha poi messo in scena una serie di simpatici mini sketch con lo spettacolo “Raccontar Fole”, storie simil vere alcune tratte da testimonianze reali degli anziani del paese su episodi realmente successi. Anche i bambini hanno avuto il loro spazio all’interno del teatro portando in scena un “Processo a Pinocchio” molto singolare e simpatico.

Era presente anche un angolo dedicato ai bambini curato dalla compagnia Theatre en vol.

Uno spazio particolare è stato dedicato alla bellissima poesia in lingua sarda composta da uno dei nostri compaesani, Stefano Chessa, poeta da sempre e grande conoscitore della lingua sarda. Stefano ha ironizzato sul detto riservato ai tissesi con la sua “Sas fàulas in Tissi”:

In Tissi b’ant pessones mannas meda
chi, a sa crisi, agiuant a resistire:
dae su chi bendet pische, si as moneda
un’ira ‘e cosas as a poder pedire!
T’acollit cun sa farda arva ‘e seda.
Serenu as a andare a drommire
ca isetat a dae segus de sos bancos…
S’ambidda bendet, oe, a 10 francos!
No est beru, fintz’issara fia incue,
pro a mie custa cosa est inventada:
fia in pischeteria, suta sas nue(s)
ma apo ‘idu chi oe fit tancada!
Mi tocat de chircare in aterue…
ca paret fàula bene assentada.
Devo leare ‘inari dae giancheta.
Como ando a comporare paga peta!

Intende custu e tènelu in memòria:
b’est frade meu ch’at mira abberu ‘ona:
est in atividade venatòria…
si no isparas nessi, tue, perdona!
Issu si ch’at a andare cun sa glòria,
si bides su ch’at giutu…t’assucona(s).
Isculta, tando! Ti paret bastante?
Catzende…at leadu un’elefante!

Gianteris a un’amiga mia ispetziale
l’est capitada una cosa istrana
e fintzas tropu, in su su tempus atuale.
Pro cosas gai de rier no apo gana!
A l’ider no est pro nudda naturale
e non mi paret mancu meda sana:
s’iscur’a issa, arratza ‘e alligria…
est nàschida cun una titta ebbia.

Bi creo, caru cumpareddu meu!
Ti naro custa cosa: l’apo iscrita:
incue ses faeddende, totu’intreu…
non t’ischis mancu ponner sa berritta.
Su ch’est sutzessu a mie est prus feu:
apo àpidu una fiza cun tres titta(s)!
A l’ischis ite ti naro, oh cumpare?
In custu puru est mezus abundare!

In Tissi non b’at solu veridade,
sa fantasia dat ditza a sas vidas.
S’inventas cun coràgiu e abilidade
no as a agatare mai difidas
e b’as a balanzare in libertade
si suta custu chelu ti nd’ischidas.
Betamus a su mundu custa ‘oghe:
sas fàulas ant leadu domo inoghe.



Il Festival aveva come idea quella di raccontare storie non solo con la scrittura. A conclusione della serata, perciò, c’è stato spazio per la “Favola” di Elisa Lamberti, “un’acrobata con la passione dei bambini”, come lei stessa si definisce, che racconta favole con il proprio corpo, in una performance composta da acrobazie su sfondo di cartoni animati, immagini in retroproiezione che seguono l’artista e si sovrappongono. Sicuramente uno spettacolo originale, così come quello proposto dal suo partner Fabrizio Fanizzi che ha effettuato delle evoluzioni funambolesche con la ruota di Rohn.

L’evento è stato organizzato da un gruppo di Tissi formato da: Antonio Locci, Claudia Solinas, Alfonso Nuvoli, Francesca Capitta,  Stefania Budroni, Sara Scarpa e da me.

Quest’anno la manifestazione può dirsi sicuramente riuscita. L’impegno che noi tutti abbiamo messo, ognuno compatibilmente con i propri impegni, ha fatto sì che l’evento sia stato all’altezza delle nostre aspettative; la soddisfazione nel ricevere i complimenti dei partecipanti e nel vedere la gente che si divertiva e che ha passato tutta l’intera giornata con noi, è stata la risposta migliore che potessimo ottenere.
Ringrazio chi mi ha coinvolto nell’organizzazione e mi auguro che gli anni a venire vedano una costante crescita del Festival.

I miei ringraziamenti vanno anche a chi ha creduto e sostenuto il progetto sin da subito; l’assessorato alla Cultura del Comune Di Tissi, l’associazione Teatrale Amatoriale Lampos e Tronos, le maestre della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria di Primo grado, i responsabili del Sistema Bibliotecario Coros Figulinas, l’associazione Pop: Progetto Ottobre in Poesia.

In sintesi, il Fàula Festival si può descrivere come un incontro tra cultura, scrittura e arte: arte dell’affabulare, capacità di raccontare storie vere o totalmente inverosimili e di creare spunti di riflessione per condividere le realtà che ci circondano.

L’appuntamento è per l’anno prossimo!


Della Cultura e dell’Arte

di Daniela Piras

Si sente parlare di frequente dell’importanza della cultura e dell’arte in ogni campo.
C’è chi si riempie la bocca (e il portafogli) diffondendo ciò che rientra nel patrimonio culturale sardo come libri, articoli, musica, fotografie.

L’importanza di salvaguardare la cultura nel nostro territorio è fondamentale se non vogliamo trovarci, considerando anche la crisi profonda in cui ci siamo, ad occuparci solo ed esclusivamente di lavoro, di come mettere insieme il pranzo e la cena e di come far fronte alle spese necessarie per la sopravvivenza del corpo.

Per fortuna c’è l’arte che, come si dice “nutre lo spirito” e il nostro spirito ha bisogno costante di essere nutrito tale e quale a quello del nostro corpo.

Nonostante l’importanza dell’arte ci si imbatte spesso in persone con tanto di titoli di intellettuali – laureati – professori – esperti – giornalisti che, nonostante conoscano l’importanza delle produzioni artistiche di scrittori, pittori, fotografi, musicisti non credono che tali opere debbano essere pagate per finire nelle loro riviste.

Per riportare un esempio pratico: Per un fotografo non professionista, è già un passo avanti vedersi riconosciuto il talento e vedere pubblicata una sua foto in una rivista culturale, in quanto dà visibilità e allo stesso tempo incoraggia ad andare avanti nella propria passione e potenziale lavoro futuro. Poco male se non si ha, nell’immediato, una soddisfazione economica. Pubblicare foto nelle riviste è un modo per farsi conoscere.

Le foto di “Pinco Pallino” viste su internet, su articoli in riviste cartacee, su quotidiani locali, alla lunga acquisiranno valore e prima o poi susciteranno l’interesse di qualche editore, direttore di giornale che le vorrà nelle proprie pubblicazioni. Vorrà proprio le foto di Pinco Pallino, perché ha avuto modo di conoscerle e apprezzarle. E contatterà Pinco Pallino, commissionandogli, magari, dei servizi fotografici da realizzare per dei reportage. È qui che Pinco Pallino riceverà il primo riconoscimento in banconote e monete, non prima.

Per arrivare a questo di cosa abbiamo bisogno? Di responsabili di riviste cartacee e on line che utilizzino pure le foto, la musica, gli scritti di artisti esterni, ma che, come minimo, li citino. In questo modo anche il giornale stesso otterrà un’immagine più professionale, citando in uno spazio apposito, i nomi dei collaboratori esterni. In questo modo ci si trova in una sorta di intesa funzionale ad entrambi: “il mio giornale è migliore, grazie alla tua professionalità. Io ricambio facendoti pubblicità e facendo conoscere il tuo nome ai miei lettori”.

Parlando nello specifico della Sardegna, visto il risveglio, di cui siamo artefici e partecipi, della nostra identità culturale, considerando che sempre più spesso si fa attenzione alle tradizioni e si cerca di valorizzare gli aspetti storici anche delle piccole comunità, si dovrebbe diffondere la tendenza a riconoscere il valore degli artisti locali e cercare in ogni modo di stimolare la loro produzione artistica creando così opportunità di lavoro concrete a beneficio di tutta la Sardegna.

Tutto questo potrebbe andare in controtendenza a quella che è oggi l’industria editoriale o discografica italiana, che tende a sfruttare le produzioni intellettuali attraverso un principio di speculazione fine a se stesso che spesso niente ha a che vedere con l’arte reale.

Ci si imbatte spesso, invece, in pseudo intellettuali che non solo vogliono “usufruire” gratuitamente di opere artistiche per abbellire i loro giornali ma che addirittura pretendono di farlo in maniera totalmente gratuita senza nemmeno citare il nome dell’autore.

Questo è davvero vergognoso perché implica un egoismo latente e un opportunismo non da poco.

E, per finire, ci si trova davanti ad un paradosso. Gente che, pur di non riportare il nome dell’artista, pensa bene di “fare da sé”: del resto per essere fotografi basta avere una macchina fotografica, per essere scrittori basta avere un computer ed un programma di video scrittura e per essere musicisti basta avere uno strumento musicale.

È grazie ad individui così che la società non migliora, che ci sono artisti che non riescono a vivere dalle loro creazioni ma che devono avere un lavoro “collaterale”. Un lavoro che valga la pena di essere pagato.

Finché non cambierà questa mentalità la società non potrà crescere ed ambire ad essere migliore e “civile” nel senso ampio del termine.