Articoli, pubblicazioni, riflessioni, divagazioni, recensioni, racconti, poesie… di tutto un po’
- La Sardegna oltre l’estate
Una mia riflessione che ha trovato spazio sul blog S’Indipendente, blog aperiodico dell’Assemblea Nazionale Sarda, la voce del mondo dell’autodeterminazione sardo.
È da qualche tempo che la Sardegna, consolidata meta di turismo estivo, si sta rivelando capace di attirare vasti flussi di visitatori anche nelle altre stagioni. I motivi sono tanti, e vanno dalla ri-scoperta del patrimonio archeologico, che grazie ai social e al web in generale sta conoscendo una nuova, fortunata epoca, alla riacquisita consapevolezza, complice la pandemia, dell’importanza di godere di ampi spazi naturali e sociali.
Nell’epoca delle new age e delle mille discipline ispirate alla rigenerazione dell’animo, la Sardegna, con i tanti siti storici in cui è possibile recepire intense frequenze positive, è anche al centro di spedizioni in gran stile, con guru spirituale annesso.
Ciò che invece lascia perplessi, in palese contrasto, è quello che appare come un vero e proprio bisogno fisico, che non accenna a diminuire: andarsene dall’isola; scappare non appena possibile. Vale per gli studenti che vogliano costruirsi una carriera, per chi voglia tentare la carta della fortuna all’estero, o anche solo nella penisola italica, per chi non riesce quasi a concepire il fatto di individuare, nella Sardegna, non solo il luogo di nascita, o il luogo “del cuore”, che fa rima con la finta autenticità degli antichi “borghi” tanto in voga, ma il luogo di permanenza principale, della vita vera, quella di tutti i giorni. Quella che prevede un lavoro, una casa, e una routine a misura di comune individuo. Un esodo che anche l’apertura dei suddetti nuovi fronti non è sufficiente a osteggiare.
Ed è così che assistiamo a una fuga apparentemente ineluttabile, dove tutti – ma proprio tutti – ambiscono a vedere, il più presto possibile, i contorni verdi blu del mare che lambiscono la costa da un oblò aereo. Non ci sarebbe niente di male, se poi queste persone avessero come progetto ultimo quello di ritornare. E invece, assistiamo da tempo a ritorni strategici di intellettuali e artisti che, nel periodo che va da maggio a settembre, varcano i confini dell’isola. Da maggio a settembre la Sardegna esplode, intellettualmente e artisticamente.
È tutto un pullulare di festival, eventi e laboratori sensoriali. Sovente, tali festival (nello specifico quelli letterari e musicali) vedono alla direzione artistica nomi ritenuti pressoché insindacabili di personaggi che osservano la Sardegna da fuori, e la utilizzano come un grande laboratorio esperienziale all’aperto per realizzare idee nate durante i mesi freddi, a fianco a un termosifone dell’appartamento in periferia di città come Milano, Bologna o Roma. Grandi nomi, profeti in Patria per antonomasia, si accostano a un grande seguito: va da sé. Finanziamenti regionali consolidati e pubblico fedele che non vede l’ora di assistere ai mille eventi che costellano l’estate sarda. Finanche troppi eventi.
Orde di turisti spesso d’impronta alternativa, non si capisce più a cosa però, oltre al buon gusto e alla buona educazione, affollano manifestazioni organizzate nei luoghi più difficili da raggiungere: scalzi e vestiti con impostata sciatteria con l’intento primario di distendersi (e di sbragarsi). Ovunque. In cima alle montagne, sulla riva di fiumi e a ridosso di piscine naturali.
Tutti in preda alla vorace esigenza di rilassarsi, a tutti i costi e con ogni mezzo, per rifarsi la pelle spirituale tramortita da un anno di stress e ansie procurate dalla frenetica esistenza di tutti i giorni, contraddistinta dal rispetto dell’etichetta e delle elementari regole del civil vivere. Quella vita che hanno agognato quando vivevano qui in Sardegna, per quanto riguarda i sardi che tornano nella terra natale durante le ferie. Quella vita che tutti gli altri visitatori sognano di poter interrompere, almeno per poche settimane all’anno, con la speranza che basti a ristabilire ritmi ed equilibri più a misura d’uomo. Considerare la Sardegna meta ideale di vacanze e relax estivi, però, ha delle conseguenze, spesso sottovalutate.
La maggior parte del pubblico che segue gli eventi più “in” in programma, abita in Sardegna tutto l’anno. La macchina burocratica e logistica necessaria a realizzarli è tenuta in moto da persone che lavorano e vivono in Sardegna tutto l’anno. Il luogo ideale delle vacanze degli altri, in sintesi, esiste di fatto grazie a chi, su quest’isola, ha deciso di vivere, nonostante le alternative possibili.
E se gli artisti hanno i luoghi dove esibirsi, una volta rientrati per pochi giorni, è grazie a chi, quei luoghi, li ha fatti vivere anche nel periodo delle “vacche magre”. E grazie a chi, quelli spettacoli, è andato a seguirli tutto l’anno, ossia coloro che, questa terra, hanno deciso di viverla davvero, con i suoi pro e i suoi contro. E che, spesso, si sono sentiti ripetere, fino alla nausea, dai navigati esperti del mondo Off Sardinia, che avrebbero fatto meglio a lasciare tutto, ad abbandonare la baracca, a cercare di più: ma sempre e solo altrove. Questa narrazione comincia a stancare e ad ammorbare le orecchie di chi non solo non ha avuto la possibilità, né in passato e né oggi, di fare esperienze di studio/formazione/lavoro fuori, ma anche di chi, pur avendole fatte, vive per convinta scelta in uno dei 377 comuni che formano il tessuto sociale di quest’isola.
Se tutti coloro che hanno un talento riconosciuto, una carriera di successo, un’affermazione professionale raggiunta, continuano a vivere fuori, per scelta, invece di portare – o riportare – il proprio bagaglio di esperienze a casa, cosa resta? Succede che la Sardegna si svuota progressivamente, con e senza effetto ciambella. Con le conseguenze che questo comporta. Non solo per quanto riguarda il carico umano che deve sopportare durante i mesi più caldi. Perché se è vero che il turismo di massa porta risorse economiche, è anche vero che, per soddisfare la voglia di relax di massa dei turisti agostani, occorrono braccia ed energie tese al massimo dello sforzo, per chi lavora soltanto tre mesi all’anno.
Sarebbe auspicabile un riequilibrio di flussi umani, di offerte e di prospettive. Per far sì che le possibilità che vengono date ai soliti nomi siano invece alla portata di tutti gli operatori culturali, tutto l’anno. Per ottenere la giusta considerazione da parte della politica, anche, per chi queste strade le percorre anche con il vento e il freddo, trovando spesso delle buche che, magicamente, vengono tappate in prossimità della stagione, perché altrimenti “che brutto biglietto da visita sarebbe, per i turisti!”. Buche reali e buche metaforiche, per inteso. Per chi si è stancato di questa narrazione dominante che ci racconta perennemente dell’uno su mille che ce la fa/ce l’ha fatta/ce la potrebbe fare, andando fuori, e tralasciando i 999 che non hanno i riflettori puntati, ma che costituiscono il fulcro del tessuto urbano e sociale di quest’isola.
A tutto ciò, poi, si aggiunge la fatidica frase detta indistintamente da turisti e da ex residenti: “La Sardegna è bellissima, il mio sogno è di venirci/tornarci per la pensione!”. E così, ciò che si configura all’orizzonte non è solo una terra vuota, ma dove a perdersi incantati alla vista di tramonti e sterminate distese verdi, in cui saranno probabilmente visibili ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici e pale eoliche all’orizzonte, saranno soltanto pochi vecchi che, allungando lo sguardo in un afflato d’immensa malinconia, e constatando l’assenza di giovani, si ritroveranno immancabilmente a chiedersi: “Era davvero questo, l’unico scenario possibile per quest’isola?”
- Su Other Souls Magazine: parole, società, arte, libri, interviste, cinema e serie tv, musica
I miei articoli per Other Souls Magazine
- Sui luoghi di Alien Thriller a Perfugas
Tra gli appuntamenti di questo 2021, ce n’è uno dedicato a una raccolta di racconti molto particolare, Alien Thriller.
Qualche mese fa, quando sono stata coinvolta in questo progetto, sono rimasta un po’ perplessa. Non avendo mai scritto qualcosa attinente alla fantascienza, non sapevo bene in che modo avrei potuto contribuire. Poi, come spesso accade, ho avuto una piccola ispirazione. Potrei dire quasi una “folgorazione”, osservando il pozzo di Predio Canopoli. È da lì che nasce La Sacerdotessa.
L’idea di raccontare questo libro a Perfugas è stata accolta con entusiasmo dalle ragazze de “Sa Rundine”.
E così, all’interno degli appuntamenti legati al “Tè Letterario”, ci sarà anche Alien Thriller.
Tè, alieni, siti nuragici… gli elementi per rendere un incontro interessante ci sono tutti. Insieme a me ci sarà Fabio Solinas, amico e operatore culturale. A prestissimo!
- Incontro a Villacidro – presentazione romanzo e discussione sul ruolo della donna all’interno di dinamiche di violenza psicologica e fisica
- Un modo semplice a Villacidro – presentazione e dibattito sul tema della violenza sulle donne
Domani sarò a Villacidro a parlare del mio romanzo “Un modo semplice”. Oggi è la giornata internazionale per combattere la violenza sulle donne. Una giornata che serve per parlare di temi che necessitano di essere affrontati ogni giorno. Noi ne parleremo domani. Cercheremo di contribuire, attraverso la discussione, a capire le dinamiche di un fenomeno complesso. Partiremo dal romanzo, da una storia. Perché tutti i femminicidi partono da una storia: d’amore, di complicità, di affinità. Poi, qualcosa cambia.
L’Unione Sarda, 24 novembre 2021 - Prospettiva privilegiata
di Daniela Piras
XLa prima volta che lo vidi era estate inoltrata, il vento caldo non riusciva a smorzare l’aria rovente e il sole faceva scintillare le rocce chiare di granito che s’intravedevano in lontananza. Trasudava dentro alla divisa blu, appoggiato al cancello di fronte all’ingresso della Banca di Credito Sardo. Non era bello, né particolarmente affascinante; capelli scuri cortissimi, occhi scuri, altezza nella media e sguardo distratto. Quello che mi colpì maggiormente, inutile negarlo, fu la divisa. Quel blu scuro così ordinato, quelle stellette sistemate in cerchio ai lati delle spalle, il cinturone e la pistola.
“È un poliziotto”, mi dissi, sbagliando.Iniziai a camminare insieme a mio figlio, che tenevo per mano. Gli passai così vicino che non poté non notarmi. Lo sfiorai, quasi. Una volta che riuscii a catturare l’attenzione dei suoi occhi, gli sorrisi.Belshar mi teneva la mano stretta e mi osservava, curioso. All’epoca aveva solo otto anni anche se si comportava in maniera assennata, quasi a voler contrastare il mio modo di fare, avventato e talvolta irresponsabile. Da qualche anno, però, mi ero ripromessa di seguire la retta via. Esattamente da otto anni prima, dalla sua nascita. Belshar non aveva un padre, non l’aveva mai conosciuto. Come me, in fondo. Mi vergognavo anche con me stessa e ancora oggi, quando ci penso, mi sento male. Non sapevo chi fosse il padre di mio figlio. Ero indecisa tra due uomini. A lui avevo detto che io e suo padre ci eravamo lasciati quando lui era piccolissimo, avevo detto che suo padre era partito per un Paese lontano, dall’altra parte del mondo. In realtà non mi ero mai posta seriamente il problema, non mi interessava sapere con esattezza chi fosse il padre di mio figlio. I due probabili erano pari in quanto a deficienza e con entrambi si era trattato di una storia di una notte quindi, sapere quale fosse, esattamente, il deficiente con il quale avevo concepito il mio bambino, non mi interessava granché.L’uomo in divisa ricambiò il sorriso, visibilmente imbarazzato. Mi accorsi della sua reazione e mi sentii lusingata. Ero ancora bella.Ci dirigemmo verso casa di Enrico, l’anziano a cui tenevo compagnia. Enrico era un uomo cortese, alla vecchia maniera. Aveva i modi da gentiluomo che si leggono nei romanzi rosa. Mi aveva accolta nella sua casa senza diffidenza. Vivevo a casa sua, facevo la badante a tempo pieno. Mi occupavo della casa, delle pulizie, di fare la spesa ma, soprattutto, mi dedicavo a lui, a fargli compagnia. Solo compagnia. Anche se in paese le malelingue si davano molto da fare nell’additarmi come la sua amante. L’amante mantenuta romena. La parola romena faceva rima con prostituta, per loro. Enrico era a conoscenza delle voci che giravano ma le ignorava. Io cercavo solo di fare bene il mio lavoro e di far crescere Belshar nel miglior modo possibile, anche se la vita in quel piccolo paese cominciava ad andarmi stretta. Erano quasi tre anni che vivevo nel centro della Gallura, in un paese di trecentocinquanta anime. Quella mattina ero uscita con Belshar a fare le solite commissioni, vista la giornata particolarmente bella avevo approfittato per fare un giro un po’ più lungo del solito ed ero passata anche nella zona centrale.Una volta a casa preparai il pranzo ad Enrico e poi andai nella mia camera. Belshar si era fermato a giocare nella piazzetta di fronte, dove aveva incontrato una sua amichetta.Mi sedetti e cominciai a pensare. Riflettei su quella che era stata la mia vita e sul punto a cui era arrivata. La Sardegna mi piaceva molto, non avevo intenzione di andare via. Mi sentivo, però, come in una gabbia, la vita del paesino non mi soddisfava più. La sicurezza acquisita aveva reso la mia vita piatta e prevedibile.Qualcosa cominciava a balenarmi nella testa, e aveva a che fare con l’uomo in divisa.YLa prima volta che la vidi era estate inoltrata. Mi ricordo che c’era un caldo soffocante. Avevamo ancora le divise autunnali, quelle con le maniche lunghe. Era il mio primo giorno di lavoro alla banca. Ancora oggi mi chiedo come mai avessero sentito la necessità di far vigilare l’ingresso della banca in un paesino così tranquillo dove, a memoria di uomo, non si ricordava una sola rapina. Ad ogni modo quei turni erano devastanti, mi toccava fare ogni giorno centoquaranta chilometri, tra andata e ritorno. Mi alzavo la mattina alle sei, per essere al lavoro alle otto e andavo via alle tre. Imprecavo contro quel caldo afoso e sognavo mi piazzassero un ventilatore proprio lì davanti. La tranquillità, nel nostro lavoro, fa spesso coppia con la noia. Contavo i minuti e poi le ore, e il tempo non passava mai.
Mi ricordo che appena la vidi non riuscii a staccarle gli occhi di dosso. Cercavo di far finta di niente, guardando qui e là, in maniera nervosa. Non si vedevano spesso donne così, e non se ne vedono tutt’ora. In segno di rispetto verso il bambino che teneva per mano mi limitai a guardarla con discrezione.Non so se si accorse che la guardavo, o se si avvicinò per caso. Me la ritrovai ad un passo. Mi sorrise con sfacciataggine. Ero sicuro di piacerle davvero. Almeno così mi fece credere, per anni. Allora non avevo dubbi. A pensarci ora mi sento proprio uno stupido. All’epoca uscivo con Marzia, una ragazza del mio paese, ci vedevamo da un paio di settimane. Ho sempre pensato che fosse una brava ragazza, e forse io non sono fatto per le brave ragazze. So che si è sposata e che ha avuto due figli. Ogni tanto chiedo di lei ad amici in comune. E mi chiedo cosa sarebbe successo se quella straniera non fosse entrata nella mia vita in maniera così sfacciata. Per tutto il mese che passai in Gallura mi assillò con la sua presenza. Aveva un piano, e ora ne sono certo.Credeva fossi un poliziotto! Solo un’idiota poteva confondere un vigilantes con un poliziotto. Un’idiota o una romena. In ogni caso una persona che viene da un altro mondo.Me l’aveva detto mia madre, eccome se me l’aveva detto! Non le era mai piaciuta, quella romena.XYLo sapevo, lo sapevo io che quella avrebbe finito per rovinarlo!
Ora è lì, e non sa dove sbattere la testa. Questa camera è colma come un uovo, le mie cose sparse senza un ordine preciso. Quanto cambiano in fretta le cose, non si ha il tempo di abituarsi.Ecco, ora ce l’ha di nuovo con me. Mi guarda e scuote la testa. Si aspetta forse una risposta? Ormai non ho più niente da dire, se non queste due date. L’inizio e la fine. E se potessi parlare non mi interesserebbe nemmeno parlare di quella. Quello che avevo da dire l’ho già detto all’epoca, e non sono stata ascoltata. Ormai è tardi. Inutile piangere. Inutile anche cercare di nascondere quella lacrima, io vedo tutto. Posizione privilegiata, la chiamano così. Vorrei solo sapere dove si trova Ketty, la mia adorata gattina. Non so dove l’abbiano portata ma è sicuro che non vive più qui. E dentro a questi scatoloni non c’è di certo. Cerco di comunicare con mio marito ma senza successo. Già era difficile in vita, ora pare proprio impossibile. Siamo vicini ma non siamo nella stessa orbita. Non so dove sia finito, forse ha approfittato della tragedia per liberarsi finalmente di me. Quindi sono sola. Cenere eravamo e cenere torneremo. Ecco che suonano alla porta. Ospiti nella mia casa. Li vedo entrare nella sala, mi si siedono proprio davanti. Lui offre da bere. “C’è di tutto: coca cola, aranciata, caffè, ditemi voi cosa preferite”. Ovvio che c’è di tutto, la tenevo fornita io, la dispensa, e così il frigo. Non ho mai badato a spese, e non rimpiango niente. Quanto casino in questa casa, ci vuole coraggio ad ospitare degli amici. A guardarli bene, però, non sembrano amici, questi due, sono vestiti in maniera troppo formale. Eccolo che si mette nuovamente a cercare dentro gli scatoloni. Ma cosa cerca? Documenti? Testamenti? Sì che gli ho lasciato tutto, ovvio, è figlio unico. Sì, è vero, gli ho lasciato anche i debiti, ma chi ci pensava di andarsene così presto? Mi viene un dubbio inquietante: vorrà vendere la casa? La casa che non ho fatto in tempo a pagare? Mi dovrò trasferire? Va bene che ormai occupo poco spazio, ma cambiare casa fa sempre un certo effetto! In ogni caso non lo vedo bene, mi sembra che questi traumi e queste corna gli abbiano fatto girare il sistema nervoso. Ecco di nuovo il sopracciglio che balla, e il piede che batte due volte il tempo. Tutti questi tic non sono indice di benessere. E comunque avevo ragione io, questi due che sorseggiano la mia coca cola sono qui per vendere la mia casa. Povero figlio, in che casini sei finito, per non aver dato retta a tua madre.Non riesco a pensare ad una soluzione. Cerco di ascoltare bene quali sono esattamente i debiti che ti ho lasciato. I due in giacca si guardano intorno mentre parli, sono incuriositi dai quadri alle pareti e da tutti i miei souvenir. Uno di loro mi nota e arriccia il naso. Cenere eravamo e cenere torneremo. Di cosa si stupisce? Ho solo cambiato stato. Sono finalmente riuscita a dimagrire, in vita non mi era mai riuscito. Ora ho finalmente una forma elegante, con i fianchi ben segnati. Lineare e allungata, la mia forma. Tono muscolare forte, marmoreo. La foto a fianco non mi rende giustizia. - Parasite – Recensione film
Parasite – Un film del regista sudcoreano Bong Joon Ho
Una linea di demarcazione che separa due mondi: da un lato si trova il benessere, la gratificazione, la stabilità, l’equilibrio, la cultura e la sensibilità: dall’altro invece la povertà, sia materiale che intellettuale, il prevalere degli istinti primari, l’insofferenza e l’assenza di prospettive.
Per varcare questa linea serve un obiettivo: un sogno da realizzare, un’ideale a cui aspirare, un progetto di vita. In una parola: un piano. «Qual è il tuo piano?», chiede uno dei protagonisti del pluripremiato film “Parasite” (Vincitore, tra l’altro, della Palma d’oro al Festival di Cannes 2019; primo film sudcoreano ad aggiudicarsi tale titolo). È l’interrogativo che buca lo schermo e raggiunge gli spettatori. La risposta è la chiave stessa del film, il quale parte da una storia ordinaria di gente che “tira a campare” per arrivare a toccare concetti ben più profondi. È il modo in cui si decide come provare ad oltrepassare l’immaginaria ma solidissima linea che separa i due opposti stati che rappresenta la differenza. I poveri sono greti di spirito perché poveri? O giacciono in una condizione di miseria proprio per colpa della loro povertà di spirito? I ricchi sono gentili in quanto tali, o hanno insita nella loro natura la nobiltà d’animo e la gentilezza? Di etica, di scelta, di valori, del senso vero e proprio della vita e dei sentimenti: di questi fattori il regista offre un’interessante lettura. È il rovescio della medaglia che tiene incollati allo schermo; una medaglia che diventa sfera, dai contorni labili. Un film costruito come un congegno perfetto che offre un quadro elementare ma al contempo complesso di ciò che è la realtà. Un puzzle dove si incastrano i sentimenti più contrastanti. Una serie di scene che risultano familiari sembrano disegnare esattamente i due modi essenziali di essere al mondo: dalla parte dei vincenti o dalla parte dei perdenti. I buoni e i cattivi. Gli elevati e i mediocri. Ma è solo l’inizio; in seguito il film si evolve e prende una piega per niente scontata. Protagonisti e antagonisti si confondono, come lo sfondo del quadro che abitano. È la logica della vita, che viene analizzata. Del destino, di quanto è scritto o totalmente affidato al caso. E alla fine l’interrogativo rimane sospeso e ci invita a trovare una risposta: Qual è il tuo piano? - “Oblio”, romanzo tra thriller e introspezione psicologica, di Vito Introna e Francesca Panzacchi.
Quanto può incidere il fato nelle dinamiche di un incontro? Quanto può essere attribuito all’eccessiva empatia, alla voglia di sperimentare nuove emozioni, alla necessità di evadere dalla routine? È la domanda implicita alla quale i due autori di “Oblio”, Vito Introna e Francesca Panzacchi, rispondono nel corso del loro romanzo. I due protagonisti, Eleonora e Alessandro, incontratisi su un treno durante una tratta notturna, dopo un primo momento di diffidenza reciproca, mettono a nudo le proprie fragilità e condividono la loro comune difficoltà di vivere. È nelle pieghe rese visibili da tale esposizione che s’insinua il fascino dell’insolito, il quale fa precipitare Eleonora in un turbine di emozioni che la donna spera, consapevolmente o meno, la possano salvare dall’assedio del tedio che caratterizza la sua vita troppo normale, dove non bastano più gli intermezzi extra coniugali a renderla più interessante. Il romanzo procede volgendo nel thriller, con una serie di eventi che rendono il lettore letteralmente incollato alle pagine. Ma “Oblio” è anche molto altro: apre la riflessione su ciò che comporta seguire delle scelte in campo sentimentale, su ciò che davvero ha importanza e su cosa non ne abbia abbastanza, su quanto capiti di desiderare il contrario di quello che si ha, in una sorta di circolo dell’insoddisfazione perenne. E viene da chiedersi se Eleonora, emblema della donna benestante e annoiata, non abbia indirizzato il suo istinto (o impulso che dir si voglia), mettendo in atto azioni precise, spinta dal peso di una quotidianità che a volte è più intollerabile di ciò che si pensa. Alessandro non è che una pedina nelle sue mani, per buona parte del libro, perché rappresenta quel marcio e quel male di vivere che ancora oggi affascina più che spaventare. Alessandro riesce a smuovere le emozioni più stagnanti di Eleonora, ad entrare in sintonia con la parte più a rischio di ognuno, ovvero quella più intima e profonda, che solitamente si tende a nascondere sotto chili di ansiolitici emotivi. Eleonora, allo stesso tempo, fa emergere qualche sottile speranza di una possibile redenzione in Alessandro, uomo dall’equilibrio precario e dalla mente contorta.
È un romanzo che si può definire come un gioco delle parti, dove la parte psicologica ha la stessa importanza di quella volta all’azione: un libro dove incide molto il substrato emotivo del lettore, perché la chiave di lettura che se ne può dare non è né scontata, né preimpostata.
“Oblio”, edito dalla casa editrice Brè di Treviso nel febbraio di quest’anno, è recentemente stato selezionato nell’ambito del secondo concorso letterario “Tre colori 2020” per la categoria “narrativa lunga (bianco avorio)” indetto dall’Associazione Culturale Cinema e Società di Lenola (LT). - Su SH Magazine: Itinerari, arte, musica, social, storia e folklore
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- Alien Thriller – 13 racconti a cura di Vito Introna
Pubblicato da Edizioni Mea, la raccolta Alien Thriller è curata dallo scrittore Vito Introna
Alien Thriller – Autori Vari
Questi scrittori ci regalano una via di fuga perché, per citare un termine e una figura a loro assai cara, sono i druidi di un impulso ancestrale indispensabile per non impazzire, sono coloro i quali attraverso mondi lontani e umanoidi non sempre amichevoli mettono su carta quell’impulso che, tuttavia, rimane terribilmente umano: la necessità di evadere. (Marcello Introna)
A cura di Vito Introna
Prefazione di Marcello Introna
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LORENZO DAVIA Il barbiere di Grado
UGO SPEZZA Abduction ZB9
FRANCESCA PANZACCHI e ALESSANDRO NOSEDA L’orco del Reno
FRIEDRICH L. FRIEDE Morte a Venezia
LORIANA LUCCIARINI Crisalide
NICOLA PERA Il brigadiere Paternostro
DANIELA PIRAS La sacerdotessa
MARCO ALFAROLI Il vampiro
ALESSANDRA LEONARDI Non ci sono fiori su Marte
FRANK DETARI Il pozzo delle Tiadi
ROBERTA DE TOMI COVID-219 La rivoluzione di Armonia
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