Della ristorazione. Ovvero, come un pan bauletto si trasforma in una bruschetta

Nell’epoca in cui gli chef sono i nuovi VIP, tutto sembra concesso. Basta usare un linguaggio internazionale e… voilà! La fregatura è servita (senza tovagliato)

Il Pan Bauletto, specialità industriale del Mulino Bianco (disponibile anche in versione discount)

Un tempo era il paesaggio, la vista, l’accuratezza della sala, il colpo d’occhio di ricercati arredi e tovagliato. Oggi, è la Location. Parola che contiene – e permette – tutto. Ed è così che basta una lussuosa location, composta da uno spazio all’aperto ai piedi di un massiccio montuoso o a pochi passi dalla spiaggia, per potersi permettere prezzi da capogiro accostati a servizi evanescenti. Passati i tempi in cui la tappa al ristorante era un avvenimento raro concesso ai più facoltosi, oggi tutti noi, con un po’ di buona volontà, e una gran dose di spirito di avventura e sprezzo del rischio, ogni tanto ci rechiamo nelle fatidiche location proposte da sconosciuti chef. E qui un piccolo appunto: se applicando il buon senso non è lecito far pagare un libro di un esordiente una cifra superiore ai quindici euro, viene da chiedersi – a noi menti leggermente polemiche – come mai è invece assodato, accettato e considerato normale pagare 17 euro per un piatto di spaghetti di cui non si conosce il nome dello chef esecutore. Sarebbe corretto vedere il cv di tale figura, e decidere in seguito se vale la pena o meno pagare cifre superiori al deca per gustare una sua “creazione”. Parole come “creazione culinaria” e “gourmet” meritano un appunto a parte: spesso sono espedienti per giustificare prezzi validi per un ristorante 5 stelle Michelin. La location, insieme alla portata gourmet e a un buon punteggio su TripAdvisor, sono finiti per essere gli elementi per capire se in un ristorante si mangi decentemente o meno. E spesso sono elementi soggettivi, in altre parole: ingannevoli. E si arriva al punto in cui per mettere insieme una semplice, elementare bruschetta, si utilizza il pan bauletto (senz’olio e senza sale), ricoperto di pomodorini pachino tagliati male (con residuo finale del picciolo) e rucola (formato busta Lidl) in abbondanza. Alla modica cifra di 5 euro. CINQUE euro per una fetta di pan bauletto posto sulla griglia un minuto – e giunto freddo al tavolo – ricoperto di una pioggia di pomodorini e rucola. Sale: non pervenuto. Olio: non pervenuto. Benvenuti nell’epoca del fast food, delle stupende location, del rapporto qualità/prezzo spiegato, a quanto pare inutilmente, da Alessandro Borghese (il quale impallidirebbe a vedere certi cestini di pane in finto vimini ripieni di baghette – sempre formato discount – precotte e surgelate appena scaldate). Qualcosa di positivo, le trasmissioni di Borghese, lo hanno dato a noi consumatori: il coraggio di restituire un piatto improponibile, ché la vergogna non è lamentarsi seduti in un’elegante location, ma la vergogna è di chi, quel piatto imbarazzante, è riuscito a farlo arrivare dalla cucina al tavolo del cliente, senza remore. Dell’ex garzone divenuto, per caso, – a causa della famigerata difficoltà di reperire personale qualificato – uno chef. Una tattica c’è, per evitare fregature: prima di accomodarsi a un tavolo, dichiarare di essere un critico di Gambero Rosso. E aspettare di vedere cosa arriva al cospetto, c’è da scommettere che non si verrà trattati come un semplice, sventurato, commensale.

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