La tv del 2020, visionata esclusivamente da chi non è a conoscenza di altri strumenti di svago o da chi si trova temporaneamente impossibilitato ad usufruirne, come nel caso di chi scrive, è un palco dove gli attori sembra non facciano altro che cercare di intimorire chi li guarda.
Durante le proiezioni mattutine, si passa da trasmissioni informative con ambizioni di intrattenimento in cui chi conduce cerca di rendere interessanti le manovre da compiere per sanificare l’auto, a cui seguono malcapitati che raccontano come gli sono stati sottratti dal conto corrente 10000 euro tramite una telefonata di un hacker che ha fatto installare loro una app per ottenere il controllo in remoto dei loro smartphone. Denunciare tramite la tv le truffe di cui si è vittima non serve ad altro che a far conoscere il rischio a chi ascolta, rendendo la vittima celebre per pochi minuti. La frase che si sente più spesso è “speravamo di poterle dare notizie migliori”.
Facendo zapping ci si imbatte nei talk show più vari che sembrano essere proiettati direttamente dalle corsie degli ospedali. Mascherine chirurgiche, camici, microfoni a distanza, notizie che anticipano di poco l’apocalisse. Tutto va a rotoli, e tutti provano a decantare ricette per uscire dalla melma: politici, “opinionisti”, conduttori, medici, “esperti di”(?). Per non rischiare di venire sopraffatti dall’angoscia bisogna cambiare canale e cercare relax e conforto in canali come il “9” che ci delizia con programmi come “Chi diavolo ho sposato?” o “Ho vissuto con un killer”. Il lato romanzato di simili tragedie e drammi familiari ce li fa apparire più digeribili dei talk show su citati.
Nel pomeriggio Mamma Rai ci viene incontro con programmi che hanno l’ambire di sopperire alla chiusura delle scuole e che in qualche modo integrano la dad. Imbattersi in certi monologhi fa rimpiangere la più problematica delle scuole medie. Lezioni, ad esempio, di antropologi che ci narrano le vicende delle sirene, a partire dal mito per arrivare al significato oggi attribuito a questo termine. Il progetto sarebbe anche interessante, se non fosse che la docente legge ogni parola che dice, perciò appare con gli occhi vaneggianti, persi ad inseguire lemmi che passano troppo lesti su uno schermo. A questo punto sarebbe stato meglio prendere spunto da Maria Giovanna Elmi, la “signorina buonasera” , e cercare di imparare la sua tecnica. Considerando che agli studenti solitamente viene chiesta una capacità di memorizzare testi e di esposizione molto maggiore. La scritta sul palmo con gli appunti sarebbe stato un gesto apprezzato.
Il picco si raggiunge con programmi ch’erano in voga negli anni ’80, come Geo, e che hanno attraversato indenni i decenni, senza revisionare nulla del consolidato format. Contenuti interessanti ma di un effetto soporifero paragonabile soltanto alle più potenti tisane alla valeriana. Mucche riunite in mandrie che si apprestano a raggiungere il punto della montagna in cui trascorrere la notte, durante la transumanza. La voce narrante concilia un relax profondo, il prete della piccola cittadina montana ci racconta le vicende dei partigiani… è un attimo. Il cuscino cede e il divano ci accoglie con indulgenza (e un po’ di pietà). Ci si sveglia che è l’ora de “l’Eredità”.
Il pilastro portante dei quiz Rai ci accoglie in uno studio vuoto con i concorrenti che sembrano usciti da barattoli di naftalina. Ognuno incarna un personaggio, immacolato e chiaro: la studentessa modello, l’ingegnere brillante, la casalinga con la passione della cucina, il ragazzo studioso che vuole fare lo scrittore. Domande di cultura si alternano a quesiti storici e di cultura generale. Curiosità/Storia/Geografia… e gli “ereditieri” si impegnano sfidando l’ultima frazione di secondo valida. Insinna, matador di questo circo, tira avanti con battute stantie, infarcite con appelli a donare, donare e ancora donare, per questa o quest’altra associazione, cinque, dieci euro, quello che si può. Donare per far andare avanti la ricerca scientifica. Ma è quando si pensa di aver assistito al peggio che ci rende conto che si può sempre scavare, raggiunto il fondo. È il momento in cui prendono parola le “professoresse”: ragazze che hanno da pochi mesi abbandonato l’adolescenza, ben truccate e dal sorriso curato, che ci deliziano con spiegazioni di fatti e termini di cui ignorano palesemente il significato. Insinna le ringrazia per il modo in cui elargiscono a noi pubblico a casa (poiché è assente quello in studio) pillole di sapienza. Ogni volta che vengono apostrofate “professoresse” un laureato in Lettere tenta di farsi fuori ingoiando il telecomando.
E arriva l’ora del Tg. Un’unica notizia seguita da notizie secondarie sempre sullo stesso tema. In parlamento non si discute d’altro. Nelle strade non si parla d’altro. E gli inviati intervistano passanti che dichiarano che sì, è dura, e che l’aperitivo prima si faceva alle otto e che ora si fa alle cinque. All’ora del tè. Esattamente lo stesso tè che io continuo a maledire e a cui addosso le colpe del mio stato di veglia. Perché dopo una giornata così ci si può solo augurare di prendere sonno alle 21.00, in modo da farla finire il più presto possibile.
Vado a letto rimpiangendo i tempi di Bim Bum Bam e chiedendomi dove sono andati a finire quei programmi che tempo addietro, ai tempi dell’università, non riuscivo a seguire come avrei voluto, perché la precedenza era sempre data allo studio. Mi passano davanti come fantasmi, e mi chiedo se mai siano davvero esistiti Lucarelli, Minoli, Massimo Manfredi…
Un ultimo malaugurio rivolto alla Telecom e al guasto tecnico che impedisce a Santa Internet di funzionare accompagna il mio tentativo di inabissarmi nel mondo dei sogni (e degli incubi). Domani è un altro giorno. Ma la tv sarà sempre la stessa, purtroppo.
