La funzione palliativa dei nuovi “maestri”

Antonino Cannavacciuolo, lo chef, si ferma un attimo davanti all’ingresso del ristorante appena rimesso a nuovo per far notare ai proprietari la sostituzione di una pianta dentro all’aiuola. «… E adesso si vede la natura! Prima c’era una natura morta!»
«Sì, è vero, avremmo dovuto sistemarla…» si scusa in qualche modo la proprietaria del locale, con aria avvilita e colpevole.
«Era così difficile?» insiste lo chef.
«No.» risponde quasi in coro il gruppetto di ristoratori prima di entrare dentro al locale e di commentare con enfasi le migliorie che uno staff di esperti ha sapientemente svolto: l’illuminazione maggiore, gli arredi nuovi, la vecchia pavimentazione sostituita da raffinato gres porcellanato; tutto è in ordine e al suo posto. Tutto è funzionale e pronto all’uso.
È solo una scena di un programma tv il cui format è diventato un vero e proprio cult. Il culto del “qualcuno può aiutarti a risolvere i tuoi problemi, a gestire in maniera ottimale la tua vita” in diversi aspetti dell’essere: sentimenti, lavoro, benessere, bellezza… tutta la sfera dell’esistente è a disposizione di architetti che hanno imparato l’algoritmo perfettamente adattabile ad ogni esigenza.
E così nessuno si sente più perso… anzi, sentirsi “perso” è la condizione naturale, ammettere la propria inadeguatezza verso una situazione è prassi comune per far spazio ai “guru” del 2020. A partire dall’aspetto più precario e instabile della vita, quello dei sentimenti, gli esperti del vivere hanno un piano ad hoc.
Passato e trapassato, a partire da quando si era dei feti, quando le sensazioni si potevano solo percepire, quando non si era ancora vivi…  c’è chi ritiene di comprendere, conoscendo alcuni elementi basilari, ciò che ci ha forgiato e fatto diventare ciò che siamo oggi.
Siamo uno schema chiaro, per certi guru, i quali ci scrutano, ci fanno raccontare passato, presente, e tutti i problemi e le paure che ci affliggono. Non è necessario che abbiano titoli specifici (non sto parlando di medici e/o terapeuti), anche se, per citare un vecchio brano dei primi anni ’90 di Luca Carboni “C’è chi per poterti fregare ha imparato a studiare”.
Ma cosa fanno esattamente questi nuovi saggi? Il discorso sarebbe molto complesso e necessiterebbe di testimonianze dei loro seguaci per capire nei dettagli il loro “modus operandi”, in sintesi però è chiaro cosa non facciano: risolvere i problemi (veri o indotti) di chi a loro si rivolge. Come mai hanno ancora seguito, nonostante questo? Per una ragione molto semplice: come i loro predecessori più noti, certi personaggi hanno la capacità di legare a sé i loro adepti, creando prima un rapporto fiduciario che sfocia nella dipendenza emotiva. Gli adepti passano da una condizione in cui scelgono di chiedere aiuto alla propria guida spirituale ad un’altra in cui non possono più scegliere. Il meccanismo subdolo di assuefazione che tali operatori universali mettono in atto fa sì che il loro sciame di seguaci non abbia mai la sensazione di poter far a meno di loro, dei loro consigli, delle loro tecniche di analisi, delle loro spiegazioni che permettono di mettere a fuoco ogni situazione della vita.  Problematiche di lavoro, relazioni personali difficoltose e amori finiti, difficoltà nella realizzazione personale: ogni aspetto della vita non fa più paura a chi sa di avere qualcuno pronto a razionalizzare e schematizzare tutto.
Non c’è posto per il caso, giacché tutto è già stato scritto, analizzato, studiato e archiviato nell’immensa libreria dell’esperienza del “maestro”, il quale darà fiato alle trombe sminuendo o ingigantendo (a seconda dei casi) i problemi dei suoi adepti (o pseudo tali). Ed è in tal modo che la vita perde di senso, o meglio, acquisisce un nuovo significato, passivo: visto che è già stato tutto schedato, ciò che si può fare è semplicemente conoscere e mettere in atto alcune dinamiche di difesa per fronteggiare la complessità fumosa tipica dell’esistenza.
La conseguenza è un circolo vizioso che si crea tra guru e adepto, ben gestito da chi si trova al vertice. Allo stesso tempo si crea un collante sociale molto forte tra i componenti dello sciame di seguaci, che si confidano tra loro per entrare meglio in sintonia. È fondamentale essere accettati dal gruppo, farne parte pienamente. Ci si potrebbe chiedere se tali tecniche di sopravvivenza funzionino o meno. È difficile, se non addirittura impossibile, stabilirlo, poiché i singoli adepti, una volta soli di fronte a ciò che non riescono più a vivere, la vita stessa, si sentono inadeguati.
L’inettitudine derivata dall’assuefazione al guru si trasforma in paura del confronto, e in paura della vita stessa. Soltanto nel gregge guidato dal pastore, e soltanto con le altre pecore, si può percorrere il sentiero del surrogato della vita, dove non si incontreranno mai dei lupi, perché costoro si trovano al di là della staccionata che isola il recinto, che i membri del gregge sono ben lontani anche solo dall’idea di scavalcare.
Nella società dove tutto è in costante trasformazione occorre stare molto attenti a chi si dice capace di risolvere e di vendere l’algoritmo perfetto per realizzare la vita senza intoppi, approfittando delle debolezze e delle incertezze del vivere contemporaneo.

Foto: Parco urbano di Capoterra 
scatto di Daniela Piras 

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