Consigli direzionali

Sassari 15 agosto 2016

In queste ore, dove abbondano le polemiche sui social riguardo i fischi de La Faradda, ho voluto scrivere un racconto con una chiave di lettura del tutto ironica che spero aiuti a stemperare la tensione accumulata. A zent’anni!

Daniela Piras

“Consigli direzionali”

Erano giorni tipicamente estivi. Il forte caldo veniva smorzato dai venti che arrivavano dal mare, gli alberi del viale ospitavano, nelle ore pomeridiane, gruppuscoli di anziani e ragazzi che si radunavano per fare una chiacchierata e per “cercare il fresco”.
Al palazzo del comune aleggiava la solita aria da mezza estate, ci si preparava per affrontare la settimana dei festeggiamenti de “La Faradda de li Candereri”, quell’anno diventata nei manifesti affissi in tutta la città, la più “italiana” Discesa dei Candelieri. Tra un caffè di metà mattina e una controllata ai social, dove verificava lo stato di avanzamento delle critiche rivolte alla maestosa opera in corso costituita dalla pista ciclabile, il sindaco si teneva informato sugli umori dei suoi concittadini, animato da un modesto ottimismo, fiducioso del fatto che in fondo stava lavorando bene e che le critiche lette sui vari gruppi Facebook fossero solo lo sfogo di infelici sconfitti facenti parte dei partiti dell’opposizione.
All’improvviso, mentre navigava sulla sua home page, la sua attenzione venne rapita da una singolare foto, rappresentante una serie di cartelli di indicazioni stradali a ridosso di una rotatoria, in una zona semiperiferica della città.
Insieme ai cartelli indicanti la direzione da seguire per recarsi a Osilo, a Scala di Giocca, a Ossi e a Serra Secca, ne spuntava uno, di un blu acceso, che indicava, molto poco eticamente, la strada per “andare affanculo”, precisamente c’era scritto proprio “Anche affanculo”. Come era possibile? Chi era il delinquente che aveva orchestrato quello scempio? Urgeva porvi rimedio!
Prima di agire, però, consapevole della facilità con cui si poteva incappare in gaffe sui social, il sindaco sospirò piano, per ben tre volte. Chiamò poi nell’ufficio i suoi più fidati consiglieri, per metterli al corrente di ciò che aveva scoperto. La riunione durò quasi due ore, bisognava essere accorti nella decisione da prendere poiché il periodo era parecchio critico e sui social, in particolar modo, si annidavano orde di contestatori, odiatori di professione, antagonisti politici e perdi tempo i quali erano soliti commentare tutti gli stati del primo cittadino in maniera a dir poco polemica.

Il sindaco era stanco di tutto questo astio e si chiedeva come mai la vasta percentuale dei suoi elettori non fosse in grado di fronteggiare questo attacco virtuale.

E ora anche il cartello blasfemo! Si decise di mandare una squadra di tecnici a rimuovere l’indicazione verso “quel paese”. Gli assessori contattarono immediatamente chi di dovere affinché indirizzasse gli operai sul luogo dell’abominevole sfottò. I lavoratori, di malavoglia, si recarono con l’ape 50 di ordinanza sul posto e iniziarono a cercare il cartello incriminato, ma senza successo.

– Ma dov’è? – chiese il caposquadra.
– Dovrebbe essere qui, dalla foto appare ben chiaro quale sia la rotonda – rispose uno degli operai.
– E allora perché qui non si vede nulla?

Il mistero si infittiva sempre più e, dopo circa mezz’ora, il responsabile della squadra chiamò negli uffici direzionali comunicando la difficoltà di trovare il cartello. Il sindaco si infuriò e picchiò i pugni sul tavolo, colpendo per errore il porta penna e imprecando per il dolore. Ripresosi dagli spasmi cominciò ad inveire contro gli operai, i quali non erano in grado di trovare manco l’acqua al mare, a suo dire.

Dall’altra parte, il responsabile, capì di aver sbagliato a fare quella telefonata e all’improvviso, mentre in sottofondo gli improperi del sindaco erano nella fase terminale, riuscì a dire all’impiegata: “Eccolo, lo abbiamo trovato, è tutto a posto!”.

Il sindaco, rosso in volto e stremato dai nervi, si fece portare un bicchiere di aranciata per riprendersi.

Nel frattempo, in mezzo alla rotatoria, gli operai sopra l’ape 50, guardarono con sospetto il responsabile che aveva appena asserito di aver trovato il cartello, dato che questo continuava a non palesarsi.

– Scusi, diretto’ – azzardò il più anziano di loro – Ma dove lo ha visto il cartello?

– Non l’ho mica visto! Ho detto così per farli smettere di urlare! Vogliono che il cartello venga rimosso, no? Ecco, facciamo finta di averlo rimosso. Rientriamo in sede.

Gli operai lo guardarono con riverenza e rispetto per il modo in cui aveva preso in mano la situazione e la aveva risolta.

Tornati al palazzo comunale, raccontarono la difficoltà che avevano riscontrato nel rimuovere il cartello, la pazienza che avevano dovuto sfoderare poiché lo stesso era stato attaccato con meticolosa testardaggine, mostrarono anche i graffi alle braccia causati dallo sforzo fatto nello sfilare il segnale che si trovava esattamente sotto il cartello “sano” che indicava la direzione per Osilo. Come prova del lavoro svolto, chiesta dal primo cittadino, mostrarono la foto sullo schermo dello smartphone del responsabile, la quale testimoniava la ritrovata decenza dei segnali direzionali.

Il sindaco si fece inviare subito la foto e la condivise sulla sua pagina Facebook scrivendo:

“Il delinquente che ha profanato la segnaletica stradale cittadina ha avuto solo una breve visibilità. Una squadra di operai è stata inviata sul posto e ha rimosso prontamente l’offensivo cartello, questa operazione è costata qualche centinaia di euro ma l’amministrazione comunale non poteva assolutamente rimandare, ne andava del decoro della città. Sassari è tornata a essere una città sobria che indica la retta via a cittadini, viandanti e turisti, e nessuno più si troverà nella situazione di dover essere indirizzato a quel paese”.

Il commento si concludeva con una serie di hashtag: #sassaricittàbella; #guerraaidelinquenti; #indicazionistradali; #lasassaricheamo.

Sotto, i commenti si sprecavano, c’era chi sosteneva che l’indicazione incriminata doveva essere posizionata davanti al palazzo del comune, o nel salotto del sindaco, c’era chi contestava la cifra spesa e chiedeva di vedere un giustificativo, chi ancora sbraitava asserendo che la città era piena di buche e che quella del segnale era una semplice goliardata a cui era stata data troppa importanza. Alcuni dicevano che la cifra spesa era totalmente spropositata, dato che il cartello era stato affisso con semplici fascette da elettricista e che, quindi, per rimuoverlo, sarebbe stato sufficiente usare un paio di forbici.

Il sindaco, esasperato da quelle critiche, incominciò a sbraitare in sassarese stretto e, approfittando dell’assenza degli amministratori che erano andati a festeggiare il ritrovato status quo della segnaletica con un aperitivo al bar, scrisse sotto l’ultimo insulto “Eja, canta canta!”.

Quel commento scatenò l’ira di molti utenti del social e, in men che non si dica, apparve un’altra foto, una scritta sul muro di un noto palazzo storico di Piazza Tola: “Nicola, canta canta!”.

Il primo cittadino non poteva credere ai suoi occhi, quel social network era davvero ingovernabile, ora anche palazzo D’Elia era stato imbrattato! Prima la fontana di Rosello, poi i cartelli, ora questo! La situazione stava degenerando, perciò decise di convocare una seduta d’urgenza con la presenza delle forze dell’ordine e con i rappresentanti della polizia locale, i quali arrivarono elegantissimi nelle loro nuove divise stile “New York City Police Department”.

Il tema del consiglio fu quello della prevenzione di eventi catastrofici e vandalici. La città doveva essere tutelata e protetta da quello sciame di invasati del web che non perdeva occasione di imbruttire l’antica città turritana, perciò venne subito inviato un commando di tecnici imbianchini specializzati nella rimozione di scritte. In Piazza Tola, però, nella facciata del palazzo storico, non c’era nessuna scritta. Il mistero si infittiva sempre più, fino a quando il responsabile della squadra di operai dell’ape 50 e il responsabile dei tecnici imbianchini si incontrarono.

I due parlarono per quasi mezz’ora dell’accaduto e di quelle spedizioni che avevano dovuto effettuare, senza motivo. Cosa stava succedendo in città?

Contemporaneamente, in un noto gruppo Facebook, era un fiorire di foto che testimoniavano una guerra in atto: erano stati presi di mira anche il Palazzo della Provincia e la statua di Vittorio Emanuele, altre scritte erano comparse in Piazza Fiume, all’ingresso del parcheggio sotterraneo e, soprattutto, la pista ciclabile, nel tratto di Viale Mancini, appariva irrimediabilmente compromessa. Per tutta la lunghezza della strada violacea, infatti, si estendevano le lettere, a caratteri cubitali, che andavano a formare la scritta, sempre la solita, tutta la città era invasa dal motto “Nicola Canta Canta!”.

Furono settimane terribili, i componenti della giunta non riuscivano a spiegarsi il motivo di un simile sfottò, poi il primo cittadino ebbe un crollo nervoso e confessò di essere stato lui l’autore del primo “Canta Canta”. Vi furono le dimissioni in massa di tutti i membri e il sindaco non poté far altro che richiedere l’aiuto dell’altro rappresentante della città, San Nicola, il quale, mosso da un sentimento di commozione e impietosito dall’operato della giunta, fece avere la risposta, tutta terrena, allo stato di degrado a cui la città pareva andare indissolubilmente.

Dopo qualche giorno, un esperto di post produzione fotografica inviò all’indirizzo e-mail del sindaco le foto dei monumenti imbrattati, prima e dopo il lavoro effettuato con Photoshop.

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