Questo il concetto all’origine del Fàula Festival che, giocando sul gioco di parole: fabula, fàula, fàvola, ha dato origine ad un Festival che si è svolto a Tissi il quattro giugno e della cui organizzazione ho fatto parte.
L’idea era quella di raccontare storie e di mettere alla prova gli studenti della scuola elementare e della scuola media di Tissi, chiedendo di realizzare uno scritto che avesse come tema centrale la bugia. Abbiamo cercato di condensare, in una giornata, un insieme di spettacoli che avessero come matrice comune quella di raccontare storie.
Dei tissesi si dice che siano bugiardi, è un detto che si tramanda da anni e di cui si sono perse le origini.
L’intuizione di partire da questo e di imbastirci un’intera manifestazione attorno parte da Antonio Locci, tissese con la passione per la musica e per l’arte in genere.
Non solo i tissesi hanno un “timbro”: degli abitanti di Usini, per esempio, si dice (più o meno scherzosamente) che siano ubriaconi e degli abitanti di Ossi che siano “giogalzu”, cioè abili cercatori di lumache. Le origini di questi ultimi due detti sono abbastanza chiare: a Usini c’è una forte cultura del vino e in paese sono presenti note aziende vinicole; a Ossi, invece, il ricavato ottenuto dalla vendita delle lumache è stato, per tanto tempo, un aiuto prezioso e una valida integrazione economica.
A Tissi il detto è, se vogliamo, più poetico. È risaputo che il paese vanta una grande tradizione poetica, nomi come Bartolomeo Serra, Andrea Mulas, Pietro Cherchi ma anche scrittrici come Mena Branca, per fare qualche esempio. La tradizione non si è persa nel corso degli anni e anche oggi ci sono diversi compositori in paese: Gigi Sancis, Rosalia Beccu (nota Lia), Egidio Cassanu, Pietro Nieddu, Anselmo Serra e Pietro Manconi.
Nel corso delle interviste che abbiamo fatto in giro per il paese per realizzare un documentario- testimonianza siamo venuti a sapere delle cose molto interessanti. Una di queste mi ha particolarmente colpito: ci hanno raccontato che i tissesi in tempi passati venivano bonariamente canzonati perché, pur non vivendo in mezzo al lusso, si atteggiavano in maniera tale da apparire ricchi, arrivando a noleggiare degli abiti in occasioni speciali e ovviamente omettendo di svelare la loro provenienza. Questa trasformazione della realtà, anche se solo esterna, svela una creatività e una capacità di reazione non comune. Ed è questa la base delle leggendarie bugie del paese, la voglia di abbellire, di esaltare, di amplificare un semplice fatto e di renderlo poetico, interessante, degno di nota.

Il concorso di scrittura creativa che ha visto come protagonisti gli studenti delle scuole, denominato “Malafaula” ha portato alla luce dei testi davvero belli, originali e ironici. Non ci aspettavamo tanto, credo. I racconti erano scritti davvero bene, ben articolati e con una grande attinenza al tema proposto. Le letture dei testi sono state abbinate, in diversi casi, a una piccola rappresentazione teatrale in cui i bambini hanno interpretato i personaggi delle loro storie.
La qualità delle storie partecipanti al concorso era alta. Alcune storie avevano titoli in lingua sarda, così come diversi dialoghi. Un chiaro segnale di quanto l’importanza della nostra lingua e la riscoperta della nostra identità culturale passi soprattutto nel suo effettivo utilizzo. Sentire bambini di dieci, dodici anni che parlavano così bene il sardo mi ha reso molto ottimista per quel che riguarda la conservazione e la vitalità della nostra lingua.
La giornata è continuata dopo la premiazione dei racconti vincenti (sono contenta di non essere stata parte della giuria perché il loro compito è stato davvero difficile!) con la proiezione del documentario e poi con la presentazione del libro “Uno sputo di cielo”, una raccolta curata da Carlo Deffenu che vede la presenza di ventisette racconti e conseguenti illustrazioni fotografiche/artistiche. Un progetto molto interessante che vede il ricavato delle vendite del libro finire in beneficienza, per aiutare i bambini di un orfanotrofio di Betlemme.
La compagnia teatrale Lampos e tronos ha poi messo in scena una serie di simpatici mini sketch con lo spettacolo “Raccontar Fole”, storie simil vere alcune tratte da testimonianze reali degli anziani del paese su episodi realmente successi. Anche i bambini hanno avuto il loro spazio all’interno del teatro portando in scena un “Processo a Pinocchio” molto singolare e simpatico.
Era presente anche un angolo dedicato ai bambini curato dalla compagnia Theatre en vol.
Uno spazio particolare è stato dedicato alla bellissima poesia in lingua sarda composta da uno dei nostri compaesani, Stefano Chessa, poeta da sempre e grande conoscitore della lingua sarda. Stefano ha ironizzato sul detto riservato ai tissesi con la sua “Sas fàulas in Tissi”:
chi, a sa crisi, agiuant a resistire:
dae su chi bendet pische, si as moneda
un’ira ‘e cosas as a poder pedire!
T’acollit cun sa farda arva ‘e seda.
Serenu as a andare a drommire
ca isetat a dae segus de sos bancos…
S’ambidda bendet, oe, a 10 francos!
pro a mie custa cosa est inventada:
fia in pischeteria, suta sas nue(s)
ma apo ‘idu chi oe fit tancada!
Mi tocat de chircare in aterue…
ca paret fàula bene assentada.
Devo leare ‘inari dae giancheta.
Como ando a comporare paga peta!
b’est frade meu ch’at mira abberu ‘ona:
est in atividade venatòria…
si no isparas nessi, tue, perdona!
Issu si ch’at a andare cun sa glòria,
si bides su ch’at giutu…t’assucona(s).
Isculta, tando! Ti paret bastante?
Catzende…at leadu un’elefante!
l’est capitada una cosa istrana
e fintzas tropu, in su su tempus atuale.
Pro cosas gai de rier no apo gana!
A l’ider no est pro nudda naturale
e non mi paret mancu meda sana:
s’iscur’a issa, arratza ‘e alligria…
est nàschida cun una titta ebbia.
Ti naro custa cosa: l’apo iscrita:
incue ses faeddende, totu’intreu…
non t’ischis mancu ponner sa berritta.
Su ch’est sutzessu a mie est prus feu:
apo àpidu una fiza cun tres titta(s)!
A l’ischis ite ti naro, oh cumpare?
In custu puru est mezus abundare!
sa fantasia dat ditza a sas vidas.
S’inventas cun coràgiu e abilidade
no as a agatare mai difidas
e b’as a balanzare in libertade
si suta custu chelu ti nd’ischidas.
Betamus a su mundu custa ‘oghe:
sas fàulas ant leadu domo inoghe.
