Osservando le foto esposte alla mostra di Vivian Maier, al Man, pensavo a ciò che avevo letto su di lei in vari siti internet, dove veniva proclamata “l’antesignana del Selfie”. Le foto raccontavano la vita quotidiana di persone comuni o, nell’eccezione, anche meno comuni, che la fotografa incontrava nelle sue passeggiate. Scene che, grazie alla sua ottima capacità di osservazione e ad un spiccato senso dell’umorismo, riusciva a cogliere e a immortalare.
Tra di loro bambini, gruppi di persone, dettagli, scorci. Vere e proprie istantanee scattate per rappresentare frammenti di vita, senza perdersi in mille virtuosismi della tecnica. È la questione del selfie che mi lascia alquanto perplessa: se per selfie s’intende una foto scattata a sé stessi con l’intento primario di condividerla con qualcuno, di postarla quasi immediatamente sui social network e di mostrarsi a tantissime persone, come si fa a dire che Vivian Maier sia stata l’antesignana di questa pratica? Molti dei rullini delle sue foto sono stati sviluppati dopo la sua morte. Molti altri negativi non sono stati stampati. Montagne di rullini e di negativi sono stati ritrovati all’interno di casse, accumulati e riposti con cura. Nelle interviste fatte a chi l’ha conosciuta, alcuni non sapevano che lei fotografasse, altri hanno detto che non si staccava mai dalla sua macchina fotografica, tutti sono concordi nell’affermare che si trattasse di una donna molto riservata.
Riservatezza che si evince anche dal fatto che non ha mai esposto le sue foto, che le ha conservate come qualcosa di molto importante, sicuramente conscia della qualità del lavoro effettuato, ma non con la voglia impellente di condividerle con qualcuno. Tra condividere e conservare con cura credo ci sia una profonda discrepanza. Il fatto poi che l’autoritratto esiste in fotografia come in altre forme d’arte (penso ad esempio a “La Gioconda” di Leonardo, che una teoria sostiene sia un suo autoritratto), è un dato di fatto.
In mezzo alle tante foto delle persone che vivevano quelle strade e quelle città, credo che Vivian Maier abbia scattato quegli autoritratti proprio per testimoniare anche la sua presenza. Forse come a dire: “Questo che fotografo è tutto ciò che c’è. E in questo fiume di gente ci sono anch’io” o anche per dare una prova della sua esistenza a chi avesse trovato il suo lavoro, in futuro: “tutte queste foto sono state scattate da me”.
A undici anni, quando ho avuto in regalo la mia prima macchina fotografica, a volte scattavo delle foto con l’autoscatto, o allo specchio. Erano tutto tranne che foto che avrei voluto condividere con qualcuno, e mi vergognavo un po’ a sapere che il fotografo, al laboratorio, le avrebbe viste. Stampe che ho tenuto non nascoste, ma di sicuro ben conservate. Ho continuato a realizzare autoritratti anche in seguito. Quello che si ottiene con l’autoritratto non è un selfie, è una visione di sé che è ben diversa da una propria foto scattata da altri, è più vicina all’idea che ci siamo fatti di noi stessi, mentre il selfie appare come una conferma, e ci si augura possibilmente positiva, di ciò che gli altri vedono in noi.
La genialità di Vivian Maier sta nell’aver reso molto bene la quotidianità della gente comune e, allo stesso tempo, grazie alla conoscenza della tecnica e alle inquadrature scelte, essere riuscita a realizzare dei veri capolavori.
Foto di Daniela Piras (Mostra “Vivian Maier – Street photographer”, museo Man di Nuoro)
Ciao Daniela. Intervengo sul tema da te trattato per confermare, per quello che sono le mie conoscenze e i miei studi, la notevole differenza tra selfie e autoritratto. Il primo nasce dalla diffusione della fotografia a livello popolare grazie ai mezzi fotografici che ora abbiamo a disposizione. I cellulari. Pratici e alla portata di tutti. Non necessitano di conoscenze tecniche e il linguaggio, essendo del popolo, è anche ignorante nella comunicazione. Lo scopo del selfie è quello di rivedersi e di farsi vedere su internet, con mezzi di comunicazione di massa. Il canale quindi è completamente diverso. Nell'autoritratto il canale siamo noi stessi in primo luogo. C'è uno studio preliminare, non è estemporaneo come nel selfie, e la diffusione, il canale, sono necessariamente diversi. Che esso sia una mostra, un quadro da esporre a casa o anche internet stesso. Il fine del selfie, e chiaramente parlo di quello che è la società occidentale in generale, è quello di trovare un varco all'interno di una società estremamente narcisista in cui l'immagine per i giovani assume un \”potere\” importante. Più si è belli e in vista e più si è sicuri di se. Siamo certi che abbiamo n ruolo a seconda dei like che riceviamo. L'autoritratto è quasi l'opposto. Ha anche lo scopo di inserirci in una società costruita e moderna come la nostra, però lo si scatta per se stessi, per una ricerca introspettiva. Noi siamo il primo canale, e il mezzo che usiamo è, oltre la macchina fotografica le conoscenze tecniche, il nostro corpo e la nostra psiche. Una prova su tutte riguarda proprio la tecnica. Essendo la macchina fotografica una difesa proprio nel momento in cui la teniamo in mano, con il selfie, tenendo il cellulare in mano sentiamo inconsciamente una forma di potere. Nell'autoritratto, con la macchina posizionata su cavalletto, questo potere non lo abbiamo. Siamo disarmati, passiamo da fotografi a essere fotografati. Nessuno ci guarda, ma quella macchina fotografica posizionata davanti a noi ha tutto quel potere in mano che il cellulare ti regala, e se lo tiene tutto per se, lasciandoci nudi e con noi stessi nel momento dello scatto. Vivian usava molti specchi, ma non aveva quella forma di potere in mano. Non la sentiva e infatti sono pochi i suoi autoritratti dove lei appare a proprio agio. Il suo viso nei suoi autoritratti è sempre concentrato al massimo, dimostrando all'osservatore che si parla di una professionista fotografa, anche se poi viveva con altro lavoro, come spesso accade nel mondo della fotografia.Complimenti per la tua analisi Daniela. Fa riflettere molto.Grazie.
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