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Prefestival di Torre delle Storie

Riporto con piacere il link della diretta del Prefestival ideato e diretto da Matteo Porru, andata in onda nella pagina ufficiale il giorno 20 luglio.

È stata l’occasione di discutere di un tema molto interessante, incentrato sulla letteratura femminile e sulla sua evoluzione, sul concetto di arte senza confini di genere e su alcuni stereotipi duri a morire. Ho potuto parlare anche del mio ultimo romanzo, Un modo semplice.

PREFESTIVAL – Era lei a raccontarmi storie sempre diverse

Pur condividendo con piacere questa diretta, però, non posso non esprimere la mia vicinanza a Matteo Porru, poiché, a causa di un’ordinanza comunale, non può partire con il Festival vero e proprio, il cui primo appuntamento era previsto il 2 agosto. Speriamo che si tratti soltanto di un rinvio, e non di un annullamento totale della seconda edizione del Festival.

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“Era lei a raccontarmi storie sempre diverse”, appuntamento con il Prefestival di Torre delle Storie

Il festival letterario “Torre delle Storie”, diretto da Matteo Porru, quest’anno giunto alla seconda edizione, prevede un‘importante novità: il prefestival, uno spazio dedicato a un tema centrale nella scrittura e nella narrativa sarda. L’incontro di quest’anno è incentrato sulla produzione femminile. Si intitola “Era lei a raccontarmi storie sempre diverse”, titolo che riprende una frase, non a caso, di una delle penne migliori del Novecento italiano, quella di Fernanda Pivano. Parteciperanno all’incontro Claudia Desogus (scrittrice), Chiara Miscali (semifinalista al Premio Campiello Giovani), Cecilia Parodi (scrittrice), Daniela Piras (giornalista e scrittrice), Alice Scalas Bianco (finalista al Premio Campiello Giovani) e Alessandra Sorcinelli (poetessa). L’appuntamento è online, martedì 20 luglio, alle 21, in diretta Facebook sulla pagina di Torre delle storie.

Il programma completo del Festival

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Mondo Eco- Festival di Letteratura – Sostenibilità Ecolologica Sociale e Culturale

In un momento in cui promuovere il proprio lavoro sembra quasi impossibile, sono molto felice di essere stata invitata a parlare del mio “Un modo semplice” alla prima edizione del Festival Mondo Eco, diretto dall’associazione Il Crogiuolo con la direzione artistica di Rita Atzeri.

Nel programma scrittori e personaggi televisivi come Filippo Solibello, Andrea Vianello, Flavio Soriga, Francesco Abate, Tessa Gelisio e tanti altri.

https://www.ilcrogiuolo.eu/mondo-eco/

Tempi ancora difficili, non semplici da sostenere. Nonostante tutto, Il crogiuolo vara la prima edizione del festival di letteratura MONDO ECO, dedicato proprio alla sostenibilità ecologica, sociale e culturale, organizzato con la direzione artistica di Rita Atzeri e con il sostegno
dell’Assessorato alla Cultura (Servizio beni librari) della Regione Sardegna. Un progetto articolato, con un programma nutrito, e un calendario serrato, dal 14 novembre al 20 dicembre, che prevede incontri con autori di levatura nazionale e regionale (in modalità on line, nel totale
rispetto delle disposizioni anti-Covid vigenti, fino al 3 dicembre), laboratori di scrittura creativa, con la Scuola Holden, e canto, appuntamenti di animazione alla lettura che coinvolgono, in diverse aree della Sardegna, luoghi chiave della cultura e dell’istruzione come scuole e biblioteche, della cura, come ospedali e case di riposo, del recupero sociale, come il carcere. Importante per il festival la rete di collaborazioni che si è andata costituendo, con enti, istituzioni, associazioni, di volontariato, culturali e di spettacolo, festival letterari, i Sistemi Bibliotecari Monte Claro (Città Metropolitana di Cagliari), del Nord Ogliastra, Làdiris (Selargius, Quartucciu, Quartu), Bibliomedia (Assemini, Elmas, Decimomannu, Decimoputzu). Mediapartner di progetto del festival sono Eja tv e Radio X.

Mondo Eco, avendo come obiettivo primario la promozione della lettura, intende stimolare l’attenzione verso temi di stretta attualità, come, in questa prima edizione, quello della Sostenibilità, fattore determinante per il futuro della vita sul nostro pianeta, negli ultimi anni oggetto di interesse e discussione a livello mondiale, che il festival vuole indagare e declinare con l’aiuto della letteratura. Il crogiuolo, dopo oltre trent’anni di attività nel mondo del teatro e degli eventi culturali, ha deciso di investire su una rassegna originale, con una variegata rete di partner e con l’ambizione di diventare il primo festival letterario sardo dedicato alla Sostenibilità. I temi cambieranno di edizione in edizione: per quest’anno le parole chiave saranno “sostenibilità ambientale”, “economica”, “sociale” e “della comunicazione”.

Un festival “territoriale”, che abbraccia diversi luoghi, con la finalità di dislocare le sue attività e diffondere il più possibile i suoi contenuti. Non casualmente gli eventi, al netto della situazione determinata dall’emergenza sanitaria, coinvolgono città come Cagliari e Sassari e altri centri meno grandi dell’Isola, con lo scopo non secondario di aiutare i piccoli paesi ad affrontare il grave problema dello spopolamento.

“Mondo Eco nasce dall’esigenza di raccogliere quelle riflessioni e quelle esperienze, siano esse in ambito letterario o saggistico, che consentano di consolidare ed estendere la coscienza della imprescindibilità del concetto di ‘sostenibilità’ in tutte le forme del vivere, perché il nostro pianeta arresti quel processo che lo candida alla morte certa”, sottolinea Rita Atzeri, direttrice artistica del Crogiuolo e del festival. “Siamo pienamente convinti che ognuno, piccolo o grande che sia, debba fare la sua parte e siamo altrettanto convinti che la letteratura, il teatro, l’arte in genere, possano essere il migliore volano per raggiungere la coscienza collettiva”. E ancora: “Mondo Eco declina il concetto di sostenibilità in tutti gli ambiti del vivere. Parliamo di sostenibilità ecologica, politica, culturale e sociale, perché sono aspetti fortemente interconnessi. Le scelte politiche – conclude Atzeri – possono tutelare o distruggere un ambiente naturale, e in questi mesi abbiamo avuto esempi dissennati in piccola e larga scala: abbiamo visto bruciare l’Amazzonia, con la complicità del governo brasiliano, e vediamo scomparire gli alberi nelle nostre città, Cagliari inclusa”.

L’11 dicembre Daniela Piras, scrittrice sassarese, laureata in Scienze della Comunicazione e Giornalismo, parlerà nella Biblioteca Satta di Nuoro del suo libro Un modo semplice. Sostenibilità della violenza di coppia (Talos edizioni).

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Sulcis Iglesiente – L’altro lato della bellezza

Foto di corredo all’articolo apparso su PesaSardigna giovedì 18 giugno.

Iglesias: sotto il marketing turistico un territorio in abbandono

Il comune di Iglesias ha promosso una campagna turistica decisamente discutibile (a cominciare dallo slogan, Iglesias CI PRAXIRI), scritto senza rispettare alcuna norma linguistica del sardo. Alle critiche costruttive di esperti il sindaco Mauro Usai ha subito risposto piccato con un post social:
“Ha un suono più dolce e pronunciabile per il turista rispetto alla forma corretta, per i turisti, non per i puristi”. In un secondo tempo ha rincarato la dose sostenendo che “il mondo indipendsovransardista” complotta contro il comune .

Qualche giorno fa la scrittrice e giornalista Daniela Piras si è recata proprio in quel territorio e ha documentato una situazione di grave abbandono. Ha scritto agli organi competenti ma non ha ricevuto alcuna risposta.

Pubblichiamo l’articolo di Daniela Piras e aggiungiamo che no signor sindaco, no nos piaghet pro nudda custa cosa!

p.s. la lingua ha le sue regole e di norma gli inglesi, i francesi e gli italiani (per fare alcuni esempi) non parlano la loro lingua adattandola ai gusti dei turisti..

di Daniela Piras
Dopo la chiusura di tutte le attività dovuta all’emergenza sanitaria dei mesi scorsi, la situazione turistica in Sardegna appare ancora precaria. Le acrobazie prestigiatrici che hanno mimato i cambi di rotta del presidente della Regione Solinas riguardo la procedura da seguire per riaprire l’ingresso ai turisti sono state accompagnate da polemiche che hanno visto esprimersi giornalisti, importanti sindaci oltre mare, albergatori e non solo: tutti eravamo interessati e coinvolti in qualche modo nelle sorti dell’imminente stagione.

Nel mezzo di polemiche e discussioni varie, capita che, a fine maggio, mi ritrovo a fare un’escursione nella zona del Sulcis iglesiente, con mascherina e gel a seguito. Ciò che mi si para davanti è una situazione che mi preme segnalare, tramite e-mail certificata, al comune di Iglesias. Ad oggi, 18 giugno, non ottengo nessuna risposta dagli uffici preposti. All’indifferenza e all’abbandono di alcuni luoghi segue l’indifferenza degli uffici preposti. Ci ritroviamo, in Sardegna, nella nota situazione che porta ad inveire contro chiunque esprima, dall’esterno, una critica alla nostra isola. In tali casi assistiamo a un vero e proprio sciorinamento di tutto ciò che ha reso la nostra terra importante: a partire dalla civiltà nuragica per finire alla bontà dei nostri formaggi e della “nostra” birra Ichnusa.

Capita così che certe segnalazioni non siano degne di nota, forse perché a farle non sono noti intellettuali arrivati dal continente con occhio critico e attento, a cui viene riconosciuta un’autorità e ai quali si tende a guardare dal basso.

Riporto qui quanto scritto al comune di Iglesias nella mattinata del primo giugno:

«Buongiorno. Vi scrivo per segnalarvi la situazione di trascuratezza ed evidente abbandono in cui si trovano le frazioni di Nebida e di Masua, in cui sono stata ieri, domenica 31 maggio.
A fare da contrasto allo splendido panorama e alle bellezze naturali – offerte gratuitamente dalla Natura – ci sono cumuli di immondizie, sia nel centro abitato che nella spiaggia di Masua (dove non c’è ombra nemmeno di un cassonetto) e situazioni di degrado. Il piccolo market della via di passaggio di Nebida pare un negozio fantasma: solo le indicazioni sulle norme di ingresso relative al Covid19 fanno capire che sia ancora aperto.
Mascherine e guanti infestano la via, insieme a cartacce, plastica, immondizia di vario genere, persino nelle aiuole pubbliche che si affacciano sul panorama. Nella spiaggia di Masua un’orrenda cisterna appare, imponente, appena scesi dall’auto, in cima al bar della spiaggia: come è possibile che un luogo di cotanta bellezza, che attira turisti da ogni parte del mondo, sia così trascurato?
Vi scrivo non per fare una semplice polemica (in tal caso avrei inviato tutto a qualche rivista isolana o avrei scritto un post sui Social), ma per chiedervi il motivo di questo abbandono: è davvero un grande peccato che lo sguardo sia costretto a fare lo slalom tra un panorama mozzafiato e un accumulo di cartacce ed erbacce.
Verificate questa situazione, per favore.

Ps: Vi invio in allegato le immagini che testimoniano il tutto.

Grazie.
Cordiali saluti.»

Non si è meritevoli di risposta quando non si scrive da una testata che possa determinare un oscillamento delle prenotazioni negli alberghi dell’isola? Non si è meritevoli di risposta quando si prova a chiedere educatamente spiegazioni riguardo un degrado che danneggia tutti, residenti e non? Mi chiedo cosa sarebbe successo se queste stesse righe fossero state pubblicate da Massimo Fini sul “Fatto Quotidiano”? Esiste forse un patto di non belligeranza implicito, tra noi sardi? È un accordo che prevede di voltare lo sguardo dalla parte opposta di quella dove giacciono le cicche nascoste tra i cespugli? E se cominciassimo ad indignarci veramente? Se il tanto decantato amore per la propria terra si risvegliasse anche davanti a spettacoli del genere, senza aspettare la spinta che porta soltanto ad insultare il prossimo (con nome e cognome) sui Social? Forse se smettessimo di girarci dall’altra parte, quando vediamo simili spettacoli, qualcosa potrebbe iniziare a cambiare, piano piano. Perché gli strumenti li abbiamo. Ad immortalare il solito tramonto sulla spiaggia siamo capaci tutti, magari aggiungendo l’hashtag “Per paradiso Dio intendeva Sardegna”, ma la macchina fotografica può essere usata anche per segnalare certe situazioni, perché finché certe cose saranno considerate normali nulla mai potrà cambiare. La questione è emblematica, e non si esaurisce con un accumulo di mondezza.

È la metafora dell’ignavia politica. Non fare niente per cambiare le cose, non esprimersi, non parteggiare, non rendersi attivi, non votare. E dopo lamentarsi attraverso i Social da sotto la nostra copertina trapuntata.

Un modo semplice a Villacidro – presentazione e dibattito sul tema della violenza sulle donne

Domani sarò a Villacidro a parlare del mio romanzo “Un modo semplice”. Oggi è la giornata internazionale per combattere la violenza sulle donne. Una giornata che serve per parlare di temi che necessitano di essere affrontati ogni giorno. Noi ne parleremo domani. Cercheremo di contribuire, attraverso la discussione, a capire le dinamiche di un fenomeno complesso. Partiremo dal romanzo, da una storia. Perché tutti i femminicidi partono da una storia: d’amore, di complicità, di affinità. Poi, qualcosa cambia.

Prospettiva privilegiata

di Daniela Piras

X

La prima volta che lo vidi era estate inoltrata, il vento caldo non riusciva a smorzare l’aria rovente e il sole faceva scintillare le rocce chiare di granito che s’intravedevano in lontananza. Trasudava dentro alla divisa blu, appoggiato al cancello di fronte all’ingresso della Banca di Credito Sardo. Non era bello, né particolarmente affascinante; capelli scuri cortissimi, occhi scuri, altezza nella media e sguardo distratto. Quello che mi colpì maggiormente, inutile negarlo, fu la divisa. Quel blu scuro così ordinato, quelle stellette sistemate in cerchio ai lati delle spalle, il cinturone e la pistola.

“È un poliziotto”, mi dissi, sbagliando.

Iniziai a camminare insieme a mio figlio, che tenevo per mano. Gli passai così vicino che non poté non notarmi. Lo sfiorai, quasi. Una volta che riuscii a catturare l’attenzione dei suoi occhi, gli sorrisi.

Belshar mi teneva la mano stretta e mi osservava, curioso. All’epoca aveva solo otto anni anche se si comportava in maniera assennata, quasi a voler contrastare il mio modo di fare, avventato e talvolta irresponsabile. Da qualche anno, però, mi ero ripromessa di seguire la retta via. Esattamente da otto anni prima, dalla sua nascita. Belshar non aveva un padre, non l’aveva mai conosciuto. Come me, in fondo. Mi vergognavo anche con me stessa e ancora oggi, quando ci penso, mi sento male. Non sapevo chi fosse il padre di mio figlio. Ero indecisa tra due uomini. A lui avevo detto che io e suo padre ci eravamo lasciati quando lui era piccolissimo, avevo detto che suo padre era partito per un Paese lontano, dall’altra parte del mondo. In realtà non mi ero mai posta seriamente il problema, non mi interessava sapere con esattezza chi fosse il padre di mio figlio. I due probabili erano pari in quanto a deficienza e con entrambi si era trattato di una storia di una notte quindi, sapere quale fosse, esattamente, il deficiente con il quale avevo concepito il mio bambino, non mi interessava granché.

L’uomo in divisa ricambiò il sorriso, visibilmente imbarazzato. Mi accorsi della sua reazione e mi sentii lusingata. Ero ancora bella.

Ci dirigemmo verso casa di Enrico, l’anziano a cui tenevo compagnia. Enrico era un uomo cortese, alla vecchia maniera. Aveva i modi da gentiluomo che si leggono nei romanzi rosa. Mi aveva accolta nella sua casa senza diffidenza. Vivevo a casa sua, facevo la badante a tempo pieno. Mi occupavo della casa, delle pulizie, di fare la spesa ma, soprattutto, mi dedicavo a lui, a fargli compagnia. Solo compagnia. Anche se in paese le malelingue si davano molto da fare nell’additarmi come la sua amante. L’amante mantenuta romena. La parola romena faceva rima con prostituta, per loro. Enrico era a conoscenza delle voci che giravano ma le ignorava. Io cercavo solo di fare bene il mio lavoro e di far crescere Belshar nel miglior modo possibile, anche se la vita in quel piccolo paese cominciava ad andarmi stretta. Erano quasi tre anni che vivevo nel centro della Gallura, in un paese di trecentocinquanta anime. Quella mattina ero uscita con Belshar a fare le solite commissioni, vista la giornata particolarmente bella avevo approfittato per fare un giro un po’ più lungo del solito ed ero passata anche nella zona centrale.

Una volta a casa preparai il pranzo ad Enrico e poi andai nella mia camera. Belshar si era fermato a giocare nella piazzetta di fronte, dove aveva incontrato una sua amichetta.

Mi sedetti e cominciai a pensare. Riflettei su quella che era stata la mia vita e sul punto a cui era arrivata. La Sardegna mi piaceva molto, non avevo intenzione di andare via. Mi sentivo, però, come in una gabbia, la vita del paesino non mi soddisfava più. La sicurezza acquisita aveva reso la mia vita piatta e prevedibile.

Qualcosa cominciava a balenarmi nella testa, e aveva a che fare con l’uomo in divisa.

Y

La prima volta che la vidi era estate inoltrata. Mi ricordo che c’era un caldo soffocante. Avevamo ancora le divise autunnali, quelle con le maniche lunghe. Era il mio primo giorno di lavoro alla banca. Ancora oggi mi chiedo come mai avessero sentito la necessità di far vigilare l’ingresso della banca in un paesino così tranquillo dove, a memoria di uomo, non si ricordava una sola rapina. Ad ogni modo quei turni erano devastanti, mi toccava fare ogni giorno centoquaranta chilometri, tra andata e ritorno. Mi alzavo la mattina alle sei, per essere al lavoro alle otto e andavo via alle tre. Imprecavo contro quel caldo afoso e sognavo mi piazzassero un ventilatore proprio lì davanti. La tranquillità, nel nostro lavoro, fa spesso coppia con la noia. Contavo i minuti e poi le ore, e il tempo non passava mai.

Mi ricordo che appena la vidi non riuscii a staccarle gli occhi di dosso. Cercavo di far finta di niente, guardando qui e là, in maniera nervosa. Non si vedevano spesso donne così, e non se ne vedono tutt’ora. In segno di rispetto verso il bambino che teneva per mano mi limitai a guardarla con discrezione.

Non so se si accorse che la guardavo, o se si avvicinò per caso. Me la ritrovai ad un passo. Mi sorrise con sfacciataggine. Ero sicuro di piacerle davvero. Almeno così mi fece credere, per anni. Allora non avevo dubbi. A pensarci ora mi sento proprio uno stupido. All’epoca uscivo con Marzia, una ragazza del mio paese, ci vedevamo da un paio di settimane. Ho sempre pensato che fosse una brava ragazza, e forse io non sono fatto per le brave ragazze. So che si è sposata e che ha avuto due figli. Ogni tanto chiedo di lei ad amici in comune. E mi chiedo cosa sarebbe successo se quella straniera non fosse entrata nella mia vita in maniera così sfacciata. Per tutto il mese che passai in Gallura mi assillò con la sua presenza. Aveva un piano, e ora ne sono certo.

Credeva fossi un poliziotto! Solo un’idiota poteva confondere un vigilantes con un poliziotto. Un’idiota o una romena. In ogni caso una persona che viene da un altro mondo.

Me l’aveva detto mia madre, eccome se me l’aveva detto! Non le era mai piaciuta, quella romena.

XY

Lo sapevo, lo sapevo io che quella avrebbe finito per rovinarlo!

Ora è lì, e non sa dove sbattere la testa. Questa camera è colma come un uovo, le mie cose sparse senza un ordine preciso. Quanto cambiano in fretta le cose, non si ha il tempo di abituarsi.

Ecco, ora ce l’ha di nuovo con me. Mi guarda e scuote la testa. Si aspetta forse una risposta? Ormai non ho più niente da dire, se non queste due date. L’inizio e la fine. E se potessi parlare non mi interesserebbe nemmeno parlare di quella. Quello che avevo da dire l’ho già detto all’epoca, e non sono stata ascoltata. Ormai è tardi. Inutile piangere. Inutile anche cercare di nascondere quella lacrima, io vedo tutto. Posizione privilegiata, la chiamano così. Vorrei solo sapere dove si trova Ketty, la mia adorata gattina. Non so dove l’abbiano portata ma è sicuro che non vive più qui. E dentro a questi scatoloni non c’è di certo. Cerco di comunicare con mio marito ma senza successo. Già era difficile in vita, ora pare proprio impossibile. Siamo vicini ma non siamo nella stessa orbita. Non so dove sia finito, forse ha approfittato della tragedia per liberarsi finalmente di me. Quindi sono sola. Cenere eravamo e cenere torneremo. Ecco che suonano alla porta. Ospiti nella mia casa. Li vedo entrare nella sala, mi si siedono proprio davanti. Lui offre da bere. “C’è di tutto: coca cola, aranciata, caffè, ditemi voi cosa preferite”. Ovvio che c’è di tutto, la tenevo fornita io, la dispensa, e così il frigo. Non ho mai badato a spese, e non rimpiango niente. Quanto casino in questa casa, ci vuole coraggio ad ospitare degli amici. A guardarli bene, però, non sembrano amici, questi due, sono vestiti in maniera troppo formale. Eccolo che si mette nuovamente a cercare dentro gli scatoloni. Ma cosa cerca? Documenti? Testamenti? Sì che gli ho lasciato tutto, ovvio, è figlio unico. Sì, è vero, gli ho lasciato anche i debiti, ma chi ci pensava di andarsene così presto? Mi viene un dubbio inquietante: vorrà vendere la casa? La casa che non ho fatto in tempo a pagare? Mi dovrò trasferire? Va bene che ormai occupo poco spazio, ma cambiare casa fa sempre un certo effetto! In ogni caso non lo vedo bene, mi sembra che questi traumi e queste corna gli abbiano fatto girare il sistema nervoso. Ecco di nuovo il sopracciglio che balla, e il piede che batte due volte il tempo. Tutti questi tic non sono indice di benessere. E comunque avevo ragione io, questi due che sorseggiano la mia coca cola sono qui per vendere la mia casa. Povero figlio, in che casini sei finito, per non aver dato retta a tua madre.

Non riesco a pensare ad una soluzione. Cerco di ascoltare bene quali sono esattamente i debiti che ti ho lasciato. I due in giacca si guardano intorno mentre parli, sono incuriositi dai quadri alle pareti e da tutti i miei souvenir. Uno di loro mi nota e arriccia il naso. Cenere eravamo e cenere torneremo. Di cosa si stupisce? Ho solo cambiato stato. Sono finalmente riuscita a dimagrire, in vita non mi era mai riuscito. Ora ho finalmente una forma elegante, con i fianchi ben segnati. Lineare e allungata, la mia forma. Tono muscolare forte, marmoreo. La foto a fianco non mi rende giustizia.

Parasite – Recensione film

Parasite – Un film del regista sudcoreano Bong Joon Ho

Una linea di demarcazione che separa due mondi: da un lato si trova il benessere, la gratificazione, la stabilità, l’equilibrio, la cultura e la sensibilità: dall’altro invece la povertà, sia materiale che intellettuale, il prevalere degli istinti primari, l’insofferenza e l’assenza di prospettive.
Per varcare questa linea serve un obiettivo: un sogno da realizzare, un’ideale a cui aspirare, un progetto di vita. In una parola: un piano. «Qual è il tuo piano?», chiede uno dei protagonisti del pluripremiato film “Parasite” (Vincitore, tra l’altro, della Palma d’oro al Festival di Cannes 2019; primo film sudcoreano ad aggiudicarsi tale titolo). È l’interrogativo che buca lo schermo e raggiunge gli spettatori. La risposta è la chiave stessa del film, il quale parte da una storia ordinaria di gente che “tira a campare” per arrivare a toccare concetti ben più profondi. È il modo in cui si decide come provare ad oltrepassare l’immaginaria ma solidissima linea che separa i due opposti stati che rappresenta la differenza. I poveri sono greti di spirito perché poveri? O giacciono in una condizione di miseria proprio per colpa della loro povertà di spirito? I ricchi sono gentili in quanto tali, o hanno insita nella loro natura la nobiltà d’animo e la gentilezza? Di etica, di scelta, di valori, del senso vero e proprio della vita e dei sentimenti: di questi fattori il regista offre un’interessante lettura. È il rovescio della medaglia che tiene incollati allo schermo; una medaglia che diventa sfera, dai contorni labili. Un film costruito come un congegno perfetto che offre un quadro elementare ma al contempo complesso di ciò che è la realtà. Un puzzle dove si incastrano i sentimenti più contrastanti. Una serie di scene che risultano familiari sembrano disegnare esattamente i due modi essenziali di essere al mondo: dalla parte dei vincenti o dalla parte dei perdenti. I buoni e i cattivi. Gli elevati e i mediocri. Ma è solo l’inizio; in seguito il film si evolve e prende una piega per niente scontata. Protagonisti e antagonisti si confondono, come lo sfondo del quadro che abitano. È la logica della vita, che viene analizzata. Del destino, di quanto è scritto o totalmente affidato al caso. E alla fine l’interrogativo rimane sospeso e ci invita a trovare una risposta: Qual è il tuo piano?

“Oblio”, romanzo tra thriller e introspezione psicologica, di Vito Introna e Francesca Panzacchi.

Quanto può incidere il fato nelle dinamiche di un incontro? Quanto può essere attribuito all’eccessiva empatia, alla voglia di sperimentare nuove emozioni, alla necessità di evadere dalla routine? È la domanda implicita alla quale i due autori di “Oblio”, Vito Introna e Francesca Panzacchi, rispondono nel corso del loro romanzo. I due protagonisti, Eleonora e Alessandro, incontratisi su un treno durante una tratta notturna, dopo un primo momento di diffidenza reciproca, mettono a nudo le proprie fragilità e condividono la loro comune difficoltà di vivere. È nelle pieghe rese visibili da tale esposizione che s’insinua il fascino dell’insolito, il quale fa precipitare Eleonora in un turbine di emozioni che la donna spera, consapevolmente o meno, la possano salvare dall’assedio del tedio che caratterizza la sua vita troppo normale, dove non bastano più gli intermezzi extra coniugali a renderla più interessante. Il romanzo procede volgendo nel thriller, con una serie di eventi che rendono il lettore letteralmente incollato alle pagine. Ma “Oblio” è anche molto altro: apre la riflessione su ciò che comporta seguire delle scelte in campo sentimentale, su ciò che davvero ha importanza e su cosa non ne abbia abbastanza, su quanto capiti di desiderare il contrario di quello che si ha, in una sorta di circolo dell’insoddisfazione perenne. E viene da chiedersi se Eleonora, emblema della donna benestante e annoiata, non abbia indirizzato il suo istinto (o impulso che dir si voglia), mettendo in atto azioni precise, spinta dal peso di una quotidianità che a volte è più intollerabile di ciò che si pensa. Alessandro non è che una pedina nelle sue mani, per buona parte del libro, perché rappresenta quel marcio e quel male di vivere che ancora oggi affascina più che spaventare. Alessandro riesce a smuovere le emozioni più stagnanti di Eleonora, ad entrare in sintonia con la parte più a rischio di ognuno, ovvero quella più intima e profonda, che solitamente si tende a nascondere sotto chili di ansiolitici emotivi. Eleonora, allo stesso tempo, fa emergere qualche sottile speranza di una possibile redenzione in Alessandro, uomo dall’equilibrio precario e dalla mente contorta.
È un romanzo che si può definire come un gioco delle parti, dove la parte psicologica ha la stessa importanza di quella volta all’azione: un libro dove incide molto il substrato emotivo del lettore, perché la chiave di lettura che se ne può dare non è né scontata, né preimpostata.
“Oblio”, edito dalla casa editrice Brè di Treviso nel febbraio di quest’anno, è recentemente stato selezionato nell’ambito del secondo concorso letterario “Tre colori 2020” per la categoria “narrativa lunga (bianco avorio)” indetto dall’Associazione Culturale Cinema e Società di Lenola (LT).

Alien Thriller – 13 racconti a cura di Vito Introna

Pubblicato da Edizioni Mea, la raccolta Alien Thriller è curata dallo scrittore Vito Introna

Alien Thriller – Autori Vari

Questi scrittori ci regalano una via di fuga perché, per citare un termine e una figura a loro assai cara, sono i druidi di un impulso ancestrale indispensabile per non impazzire, sono coloro i quali attraverso mondi lontani e umanoidi non sempre amichevoli mettono su carta quell’impulso che, tuttavia, rimane terribilmente umano: la necessità di evadere. (Marcello Introna)

A cura di Vito Introna

Prefazione di Marcello Introna

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LORENZO DAVIA Il barbiere di Grado

UGO SPEZZA Abduction ZB9

FRANCESCA PANZACCHI e ALESSANDRO NOSEDA L’orco del Reno

FRIEDRICH L. FRIEDE Morte a Venezia

LORIANA LUCCIARINI Crisalide

NICOLA PERA Il brigadiere Paternostro

DANIELA PIRAS La sacerdotessa

MARCO ALFAROLI Il vampiro

ALESSANDRA LEONARDI Non ci sono fiori su Marte

FRANK DETARI Il pozzo delle Tiadi

ROBERTA DE TOMI COVID-219 La rivoluzione di Armonia

FLAVIO FIRMO Mondo femmina

MARCO MILANI Uomini oscuri

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Della ristorazione. Ovvero, come un pan bauletto si trasforma in una bruschetta

Nell’epoca in cui gli chef sono i nuovi VIP, tutto sembra concesso. Basta usare un linguaggio internazionale e… voilà! La fregatura è servita (senza tovagliato)

Il Pan Bauletto, specialità industriale del Mulino Bianco (disponibile anche in versione discount)

Un tempo era il paesaggio, la vista, l’accuratezza della sala, il colpo d’occhio di ricercati arredi e tovagliato. Oggi, è la Location. Parola che contiene – e permette – tutto. Ed è così che basta una lussuosa location, composta da uno spazio all’aperto ai piedi di un massiccio montuoso o a pochi passi dalla spiaggia, per potersi permettere prezzi da capogiro accostati a servizi evanescenti. Passati i tempi in cui la tappa al ristorante era un avvenimento raro concesso ai più facoltosi, oggi tutti noi, con un po’ di buona volontà, e una gran dose di spirito di avventura e sprezzo del rischio, ogni tanto ci rechiamo nelle fatidiche location proposte da sconosciuti chef. E qui un piccolo appunto: se applicando il buon senso non è lecito far pagare un libro di un esordiente una cifra superiore ai quindici euro, viene da chiedersi – a noi menti leggermente polemiche – come mai è invece assodato, accettato e considerato normale pagare 17 euro per un piatto di spaghetti di cui non si conosce il nome dello chef esecutore. Sarebbe corretto vedere il cv di tale figura, e decidere in seguito se vale la pena o meno pagare cifre superiori al deca per gustare una sua “creazione”. Parole come “creazione culinaria” e “gourmet” meritano un appunto a parte: spesso sono espedienti per giustificare prezzi validi per un ristorante 5 stelle Michelin. La location, insieme alla portata gourmet e a un buon punteggio su TripAdvisor, sono finiti per essere gli elementi per capire se in un ristorante si mangi decentemente o meno. E spesso sono elementi soggettivi, in altre parole: ingannevoli. E si arriva al punto in cui per mettere insieme una semplice, elementare bruschetta, si utilizza il pan bauletto (senz’olio e senza sale), ricoperto di pomodorini pachino tagliati male (con residuo finale del picciolo) e rucola (formato busta Lidl) in abbondanza. Alla modica cifra di 5 euro. CINQUE euro per una fetta di pan bauletto posto sulla griglia un minuto – e giunto freddo al tavolo – ricoperto di una pioggia di pomodorini e rucola. Sale: non pervenuto. Olio: non pervenuto. Benvenuti nell’epoca del fast food, delle stupende location, del rapporto qualità/prezzo spiegato, a quanto pare inutilmente, da Alessandro Borghese (il quale impallidirebbe a vedere certi cestini di pane in finto vimini ripieni di baghette – sempre formato discount – precotte e surgelate appena scaldate). Qualcosa di positivo, le trasmissioni di Borghese, lo hanno dato a noi consumatori: il coraggio di restituire un piatto improponibile, ché la vergogna non è lamentarsi seduti in un’elegante location, ma la vergogna è di chi, quel piatto imbarazzante, è riuscito a farlo arrivare dalla cucina al tavolo del cliente, senza remore. Dell’ex garzone divenuto, per caso, – a causa della famigerata difficoltà di reperire personale qualificato – uno chef. Una tattica c’è, per evitare fregature: prima di accomodarsi a un tavolo, dichiarare di essere un critico di Gambero Rosso. E aspettare di vedere cosa arriva al cospetto, c’è da scommettere che non si verrà trattati come un semplice, sventurato, commensale.

Recensione sul sito “Sololibri.net”

Sul sito “Sololibri.net”, nella sezione “recensioni”, si parla di Un modo semplice

Un modo semplice di Daniela Piras

Talos, 2020 – Diario a due voci di Flavia e Manuel. Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

Un modo semplice (Talos, 2020) di Daniela Piras è il diario a due voci di Flavia e Manuel, due ragazzi che si incontrano ai tempi dei loro studi universitari nella città di Urbino, luogo che diventa coprotagonista della storia.

“E Urbino era così, la città ideale, la città ferma nel tempo, sempre uguale a se stessa, cristallizzata e perfetta”.

Tra Flavia e Manuel nasce subito un’amicizia e poi qualcosa di più, ma non si conoscono davvero.

“Avevamo due modi di vedere il mondo completamente diversi, e molto precari”.

“Non immaginavo cosa gli passasse realmente per la testa, all’epoca davo per scontate troppe cose, credevo che i miei pensieri e i suoi fossero gli stessi, che le parole fossero già diventate superflue, tra di noi”.

E così ben presto il rapporto si incrina, i due si allontanano. Ma Manuel non è disposto ad accettare di perdere Flavia, e arriva a compiere un’azione di cui non si sarebbe mai ritenuto capace. Da quel momento niente è più semplice.

“Non era semplice, no, non era assolutamente semplice. Non avevo più il controllo su niente, il mondo sembrava essere andato avanti, così avanti da non poter più essere il mio, e io non mi sentivo più quello di prima. […] I miei neuroni erano completamente assenti, era come se avessi uno sciame di vespe in testa”.

E a Flavia non resta che trovare un modo per superare quello che è successo. Cerca di nasconderlo perfino a se stessa, di adattarsi, di andare avanti, nonostante il continuo stalking di Manuel.

“A volte penso di aver sognato, di aver costruito questo fatto con la forza della mia fantasia, tanto vorrei che davvero non fosse successo, poiché da allora niente fu più come prima. […] Io imparai a convivere con il tormento”.

Ma quello che succede inevitabilmente cambia le persone.

“Dalla mia vita era sparita la musica. […] Mi sentivo muta. Non avevo più niente da dire né da sentire”.

E così a entrambi non resta che cercare di darsi una spiegazione e di proseguire in qualche modo la loro vita, affrontando le fragilità che fanno parte di ciascuno e le azioni che per loro ne sono derivate.

Recensione a cura di Fabrizia Scorzoni